La nave dolce, il sogno infranto della Vlora
Il regista Daniele Vicari, dopo aver portato sul grande schermo il massacro della scuola Diaz, presenta alla Mostra del Cinema di Venezia il suo nuovo docufilm La nave dolce.
Nel docufilm presentato oggi fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Daniele Vicari torna al genere documentaristico d'impegno raccontando le vicende relative allo sbarco in Italia della nave Vlora, proveniente dall'Albania con oltre ventimila persone a bordo.
Tutto ha inizio l’8 agosto 1991 quando il mercantile Vlora, con la stiva piena di zucchero (da qui il titolo del documentario) proveniente da Cuba viene presa d'assalto al porto di Durazzo da una moltitudine infinita di albanesi che cercano di sfuggire alla povertà e alla dittatura del loro paese.
La nave si riempe in pochissime ore e salpa verso l'Italia nonostante i problemi al motore e l'assenza di acqua e cibo per tutte le persone accalcate e aggrappate l'una sull'altra dentro e fuori.
Il documentario ripercorre tutto il viaggio e l'arrivo in Italia attraverso materiali d'archivio e interviste ad alcuni dei protagonisti di quella sconvolgente immigrazione di massa. Così le storie direttamente narrate da quei protagonisti (tra i quali il regista Robert Budina o il ballerino Kleidi Kadiu) portano la forza del proprio punto di vista individuale all'interno di una situazione di massa tragica e inaspettata.
Quel viaggio della speranza però si scontrò con la totale impreparazione mista ad incredulità delle autorità italiane, che resero le operazioni di sbarco e aiuto alle persone lente e del tutto inefficaci. A dispetto dei suggerimenti del sindaco di Bari e di tutte le autorità locali il governo e in prima persona il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga decisero di affrontare la vicenda come una mera questione di ordine pubblico, rinchiudendo tutti gli sbarcati nello stadio della Vittoria, generando una situazione insostenibile dal punto di vista della sicurezza e dell'igiene.
La maggior parte di quei ventimila ragazzi, uomini, donne e bambini furono rimpatriati nei giorni successivi e videro infranto il sogno di un futuro migliore nel paese che tante volte avevano osservato alla finestra del piccolo schermo.
Il documentario di Vicari è potente ed umano allo stesso tempo, commuove, indigna e fa riflettere. Il filo rosso che lo lega alla sua precedente opera Diaz, don't clean up this blood, è la denuncia mai ideologica dell'inefficienza che i vertici delle nostre Istituzioni e delle nostre Forze dell'ordine hanno dimostrato nel passato nella gestione di alcune emergenze.
Inefficienza che delle volte ha confinato con una colpa conclamata di aver preso delle decisioni del tutto sbagliate e volutamente improprie. Seppure siano passati vent'anni da quel giorno, film e documentari come questo sono utili per recuperare e tenere viva la memoria di ferite e tensioni sociali come quelle raccontate da Vicari, che molto spesso hanno rappresentato dei punti di svolta per il nostro Paese.
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