Fai bei sogni, recensione del film
Fai bei sogni è il film di Marco Bellocchio tratto dall'omonimo romanzo di Massimo Gramellini.

Fai bei sogni è il film di Marco Bellocchio distribuito da 01 Distribution. Nel cast ci sono Valerio Mastandrea, Bérénice Bejo, Guido Caprino, Nicolò Cabras, Roberto Herlitzka, Dario Dal Pero. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Massimo Gramellini.
La storia è quella di Massimo, bambino legato alla madre che la mattina del 31 dicembre 1969 muore. Per “infarto fulminante”. Massimo non vuole allontanare il ricordo della madre, cerca sollievo anche nella religione. Cresce, diventa un giornalista ma continua a soffrire per quella perdita che forse non è tale. Fino all’incontro con la dottoressa Elisa.
Non mancano nel film “Fai bei sogni” le scene magistrali come quella dell’incontro con il magnate Giovanni Athos, cui Massimo deve rivolgere un’intervista e che all’improvviso è cercato dalla Guardia di Finanza. Quella in cui ha un attacco di panico e la voce rassicurante della dottoressa Elisa (Bejo) del Pronto Soccorso lo guida verso la cura, fino ad incontrarla all’ospedale. Altra scena visionaria è quella di Massimo che - restio - finisce nella villa in cui i nonni di Elisa festeggiano le nozze di Diamante, cosicché si scatena in un ballo sulle note ”Surf Bird”. Eccelse sono le scenografie notturne di Marco Dentici, con oggetti come la penna a quattro colori che stringe Massimo, la quale rende subito vera l’ambientazione. Nonché la fotografia evanescente di Daniele Ciprì.
La trama del film risente di una certa ingenuità, per cui il dolore di Massimo non si estrinseca in gesti eclatanti, se non introspettivi: grazie agli attacchi di panico provati per la perdita della madre - di cui forse ignora il suicidio - incontra la dottoressa Elisa che poi diverrà la sua donna. Una sostituzione necessaria.
In un film - rispetto ad un romanzo - la scoperta che la morte di una madre sia avvenuta non per un “infarto fulminate” bensì per un motivo più profondo doveva avvenire prima, altrimenti tutto si riduce alla storia di un uomo che ha perso un familiare. E quello che poteva essere un film sulle conseguenze che una bugia scava in chi la subisce, diventa semplice presa di coscienza con le parole “lasciala andare”, proferite dalla fidanzata Elisa.
Film migliori hanno espresso il dissidio del giornalista: “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Oppure quello della perdita della madre: “Mia madre”, di Nanni Moretti. Ma Bellocchio affronta un dubbio finale, che nessuno dei due aveva avanzato, ovvero la liceità di usare un dramma personale per ottenere successo mediatico.
In tal senso è potente e rivelante la scena di lui Massimo - di nuovo restio - accetta l’incarico offertogli dal direttore del giornale di rispondere ad una lettera in cui si afferma l’odio verso le madri - e in generale l’ordine costituito. Nella rubrica del giornale Massimo scrive in maniera viscerale, racconta la sua esperienza sofferta, di figlio senza madre e con desiderio di abbracci. Cosicché tutti i lettori conoscono il suo modo di esprimersi, fuori dalla sezione sportiva o di cronaca cui aveva finora lavorato. Ma ciò sigla la fine della purezza di Massimo. In questo caso ha usato la madre - e la sua morte - per ottenere un successo mediatico, seppellendola definitivamente: è ciò che infatti un altro giornalista gli fa notare, tanto che Massimo innervosito attacca il telefono in faccia.
È forse questo l’aspetto più innovativo che Bellocchio riesce ad offrire. Ovvero la capacità di denudare una propria sofferenza, per far immedesimare sì i lettori, ma aumentare anche il proprio business. È giusto usare l’esperienza intima per ottenere successo? La madre di Massimo sarebbe stata d’accordo nel sentirsi raccontata in un articolo di giornale? Se dal punto di vista giornalistico la riposta è no, lo è da quello letterario. È un omaggio ad una donna che non c’è più, ma dall’altra parte la si è usata per uno scopo anche economico - pur se attraverso la trasfigurazione letteraria.
Sono gli stessi pensieri intimi che il protagonista Massimo prova, e che Bellocchio amplifica a dismisura fino a farla diventare un’ossessione. I film che Massimo vede con la madre nutrono questo timore, da “Il bacio della pantera” a “Il gabinetto del dottor Caligari”, e ogni visione si schiudeva con un abbraccio. Fino al timore di essere catturato dalla figura demoniaca di Belfagor.
Alla domanda sulle liceità di usare il dolore privato per scopi mediatici Bellocchio non risponde, la semina. Una chiosa la offre la dottoressa Elisa mentre abbraccia Massimo: “Lasciala andare”.
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