Venezia 73: recensione de El Cristo Ciego, un film avventato senza religione
Al Festival di Venezia 2016 è stato presentato "El Cristo Ciego", di Christopher Murray.

Abbiamo assistito al Festival del cinema di Venezia all'anteprima del film in concorso "El Cristo Ciego", diretto da Christopher Murray e interpretato da Michael Silva.
Il film racconta di Michael, un uomo che abita in un villaggio del Cile, un luogo povero e dove le donne badano alle madri anziane ed inferme annullandosi con loro, se ci si ferisce ad una gamba è complesso guarire. Michael da bambino si fece trafiggere con un chiodo sul palmo della mano, sperando che poi Dio lo aiutasse.
La sua idea di essere simile a Dio cresce con la sua età, tanto che viene poi cercato dagli abitanti per aiutare malati ed infermi, anche se la sua capacità di guarire non sempre è efficace. Con il tempo quelli che tutti credono miracoli rari diventano sempre più sporadici, cosicché anche Michael si chiede se sia veramente capace di guarire le persone, e soprattutto se Dio si sia dimenticato di lui. Il suo desiderio di essere salvifico diviene quasi un'ossessione, tanto che anche le parole di un ex detenuto ora custode di una chiesa abbandonata non riescono a smuoverlo dal suo intento. La frase: "Cristo è dentro di noi" non gli basta.
Il regista aveva già affrontato la tematica della speranza sociale in uno strumento che migliorasse la vita nel documentario "Propaganda" del 2014, in cui indagava sulle aspirazioni legittime della popolazione cilena in prossimità delle elezioni politiche.
Ne "El Cristo Ciego" quatto argomento vira verso lo strumento religioso. Un tema quello affrontato Christopher Murray arduo, troppo per una sceneggiatura esile e senza appigli narrativi, se non quelli di qualche preghiera lanciata qua e là. In maniera ironica il tema religioso si presenta al Festival di Venezia anche in altra forma, con "The Young Pope" di Paolo Sorrentino, incentrato sul successore di Pietro. Il film "El Cristo Ciego" avrebbe in teoria potuto essere più efficace, proprio perché ambientato in un Cile deserto, fatto di stanze buie, movimenti lenti e aspirazioni materialistiche: una povertà identica a quella del Messia. Ma in pratica ciò non è avvenuto, per avventatezza di una scrittura che non si è affidata all'unico spunto che avrebbe potuto sollevarlo: l'incomprensibilità del potere taumaturgico di <chrome_find class="find_in_page">Gesù.
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