The Witch: recensione del film dove la paura per il non-conoscibile batte la razionalità umana

Cinema / Recensione - 18 August 2016 08:00

Robert Eggers dirige la giovanissima Anya Taylor-Joy in un film dove la stregoneria del Seicento è quasi pretesto per parlare dell'incapacità dell'uomo di affidarsi alla positività

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L’esordiente alla regia Robert Eggers dirige un thriller dalle venature orrifiche destinato ad esporre una riflessione sulla condizione della paura dell’uomo.

The Witch è ambientato negli Anni’30 del 1600 quando una famiglia coloniale, minacciata di essere bandita dalla Chiesa, è costretta ad abbandonare la piantagione nella quale vive, raccogliendo i propri averi, e a sistemarsi in una nuova località, situata nei pressi di un antico bosco del New England. La famigliola di pellegrini cristiani deve adeguarsi alla nuova sistemazione, ma prima ancora che possa porre radici, viene colpita da una grave perdita: il figlio più piccolo, un neonato di pochi mesi, scompare senza lasciar traccia a seguito di un breve momento di distrazione della sorella maggiore Thomasin (Anya Taylor-Joy). Da allora in poi la vita della famiglia cambierà: superstizioni, miste ad un credo dal sapore legato alla stregoneria, dilagano nelle menti seminando pathos distruttivo che non potrà non coinvolgere tutti i malcapitati, compresa la piccola ed indifesa Thomasin.

Robert Eggers, che firma con The Witch il suo primo lungometraggio in qualità di regista, semina all’interno del film, di cui è anche sceneggiatore, numerosi indizi, necessari a creare e a nutrite il pathos via via crescente. Un bambino scompare senza lasciare tracce, poi degli animali presenti all’interno del villaggio, nuova sistemazione della famiglia, iniziano a manifestare comportamenti insolitamente tendenti all’aggressività, e ancora il raccolto viene distrutto ed un altro bambino si dimostra come posseduto da un’oscura presenza demoniaca. Tutti questi indizi convogliano nella mente dello spettatore, quanto in quelle dei protagonisti, fino a sfociare in sentenze ammonitrici nei confronti di un capro espiatorio che vede la sua persona divenire personificazione del male.

Ambientato intorno al 1630 in un New England ricreato alla perfezione attraverso scenografie e costumi rispecchianti l’epoca, The Witch, e con esso il regista Robert Eggers, dimostra come la fede in qualcosa che non è dato conoscere possa sfociare in ossessione e, senza essere in grado di apportare considerazioni oggettive a problemi ed avvenimenti insoliti ed irrisolti, cancellare pensieri positivi come se il negativo infettasse irrimediabilmente tutto intorno a sé.

The Witch sancisce come l’uomo sia capace di puntare il dito contro l’altro uomo, contro il proprio fratello, unicamente per paura del razionalmente non-accettabile. Robert Eggers è capace di immortalare la paura ed imprigionarla in primi piani indagatori dei turbolenti stati d’animo attraversati dai protagonisti. Usufruendo di una colonna sonora adatta ad instillare il germe del non-conoscibile, del soprannaturale come causa di ogni male, il regista ritrae l’atteggiamento dell’uomo difronte alle proprie paure, ponendolo all’attenzione degli altri esseri umani, personaggi quanto spettatori, e decretando come la negatività si autoalimenti, spadroneggiando sulle possibilità limitate della ragione.

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