Recensione Film The Running Man (2025), dal romanzo di Stephen King al grande schermo
In uscita anche in Italia, l'atteso remake del cult anni '80 con Schwarzenegger
L’uscita del nuovo film di Edgar Wright, prevista in Italia il 13 novembre 2025, sta ottenendo un ottimo successo nel mondo, attirando l’attenzione di critica e pubblico grazie alla sua azione incalzante e alla capacità di raccontare una storia distopica con un approccio moderno.
Dall’action anni ’80 alla distopia sociale
Il confronto
con il film del 1987 è inevitabile, ma anche necessario per capire la portata di
questa nuova versione.
Il Running Man di Glaser era un action futuristico e sopra le righe,
intriso di satira ma filtrato attraverso l’estetica colorata e muscolare di
quell’epoca. Il reality mortale era un pretesto per vedere Schwarzenegger
affrontare gladiatori eccentrici, ognuno più assurdo dell’altro, in una parata
di violenza e spettacolo che oggi appare tanto ingenua quanto irresistibile. Nel
film degli anni ’80, i concorrenti venivano arrestati con false accuse e
costretti a partecipare al gioco televisivo mortale, affrontando gladiatori
eccentrici come Dynamo e altri campioni addestrati per uccidere. Nel remake,
invece, la partecipazione è volontaria, ma altrettanto disperata: chi corre
rischia la vita e tutti possono denunciare o uccidere i fuggitivi, rendendo il
gioco molto più realistico e brutale.
Il romanzo di Stephen King, invece, era tutt’altra cosa: una corsa disperata attraverso un’America decadente, raccontata come un incubo sociale, non come un’arena televisiva. Lì il protagonista non combatteva mostri travestiti da showman, ma la macchina stessa della società, la fame, la miseria, la disumanizzazione. Ecco perché Wright ha più volte ribadito che il suo film non è un remake, ma una nuova trasposizione del libro.
Questa volta il protagonista, Ben Richards, interpretato da Glen Powell, è un uomo qualunque costretto a entrare nel gioco per ragioni di estrema necessità: la povertà e la necessità di comprare le medicine per la figlia malata.
Cast
Glen Powell, reduce da una stagione
fortunatissima: Top Gun: Maverick, Anyone But You e il
sorprendente Hit Man, dove ha mostrato una disinvoltura tra commedia,
dramma e azione che lo ha reso uno degli attori più versatili della sua
generazione.
Il suo Ben
Richards non è il superuomo muscolare e spavaldo interpretato da
Schwarzenegger, ma un uomo qualunque spinto al limite, un personaggio
più vicino al disperato antieroe del romanzo di King.
Attorno a lui, Wright ha costruito un cast interessante: Josh Brolin, solido e intenso come sempre, probabilmente nei panni di un antagonista ambiguo; Colman Domingo, che ormai riesce a dare profondità anche al ruolo più breve; Lee Pace e William H. Macy, veterani con un magnetismo naturale; e Katy O’Brian, fresca della sua prova in Love Lies Bleeding, perfetta per incarnare una durezza fisica ma non priva di umanità. È un gruppo di interpreti che dà subito l’idea di un film più corale, più realistico, dove nessuno è solo un ingranaggio narrativo.
Ambientazione e considerazioni
La società distopica descritta nel film è feroce e spietata: la fame, la
miseria e la necessità di sopravvivere spingono un uomo a partecipare a un
gioco assassino, mentre il pubblico televisivo osserva, giudica e partecipa
indirettamente. Wright accentua la satira del condizionamento mediatico e della
manipolazione delle informazioni: in questa società, il potere dei media è
totale e i messaggi trasmessi controllano le emozioni, le opinioni e i
comportamenti della popolazione. È un tema che risuona nel nostro tempo,
esasperato qui in un futuro distopico dove la televisione trasforma la
disperazione in spettacolo.
Non manca un piccolo tributo al film
originale: sebbene Arnold Schwarzenegger non compaia in un cameo, la sua
presenza è ricordata con effigi sulle banconote e altri dettagli che rendono
omaggio al passato senza appesantire la narrazione.
Il film si distingue anche per gli effetti
speciali e il ritmo serrato: la regia di Wright alterna sequenze d’azione sfrenata a momenti di tensione reale, con scenografie tangibili e un montaggio
calibrato che restituisce il senso di una corsa disperata e pericolosa. La
suspense è costante e il pubblico rimane coinvolto dall’inizio alla fine.
In conclusione, The Running Man (2025) non è solo un film d’azione
avvincente, ma anche una riflessione sulla società contemporanea: un mondo
spersonalizzante e miserabile che trasforma la sofferenza in spettacolo,
manipolando informazioni e comportamenti. La pellicola riesce a combinare
intrattenimento di alto livello e critica sociale, risultando gradevole e
stimolante grazie agli effetti speciali, al ritmo incalzante e a una visione
distopica moderna e coerente con il romanzo di Stephen King.
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