Recensione del film L'incredibile vita di Norman

Cinema / Recensione - 27 September 2017 08:00

"L'incredibile vita di Norman" è il film con Richard Gere e Charlotte Gainsbourg

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L'incredibile vita di Norman è il film di Joseph Cedar con Richard Gere, Lior Ashkenazi, Michael Sheen e Charlotte Gainsbourg.

Mostra un Richard Gere onnipresente sullo schermo, capace di sorreggere le mutazioni del carattere, dallo scaltro iniziale (quando Norman decide di entrare in contatto con il Ministro Israeliano Micha Eshel) al finto pietista (quando si vede sottomesso), al coraggioso finale.

Restituisce un senso ad una domanda che spesso non ci poniamo, in maniera incosciente: i gesti che facciamo sono immuni da un interesse personale, oppure sono solo altruistici?

Norman non affronta tale quesito, perché pare che agisca in commistione, quasi con una rêverie che lo porta a credere di mostrarsi amico di tutti, senza chiedere in campo dei favori. Ma questo aspetto sognatore è poi condotto nella realtà dal suo biglietto da visita, dove c’è scritto “Norman Oppenheimer Strategies”, qui con un lavoro che prevede una remunerazione.

Richard Gere sa appunto trascolorare tra queste dignità differenti, con una credibilità difficile da restituire vista la tematica quasi “a tesi” del film.

Un richiamo filosofico che evoca film come “Hearat Shulayim” (2014) dello stesso regista Joseph Cedar, sulla difesa del Talmud affidata ad una conversazione tra padre e figlio. Oppure “Syriana” (2005) , sulla speculazione sul prezzo. Fino al più geometrico Krzysztof Kieślowski da “Decalogo” (1988) a “Tre colori” (1993-1994) in cui espone azioni che raccontano concetti della giustizia, oppure quelli della Liberté, Égalité, Fraternité. Lo stesso titolo inglese e “L'incredibile vita di Norman” lascia intravedere questa ipotesi, “Norman: The Moderate Rise and Tragic Fall of a New York Fixer”.

Dai film citati “L'incredibile vita di Norman” si differenzia per alcune carenze nella regia. Infatti quando Norman è riconosciuto dal Ministro del governo Israeliano cui lui regalò un paio di scarpe da 1200 dollari, e che ora è buono Premier giungono delle immagini in sovrimpressione di colleghi che esortano a fidarsi o meno dell’afflato politico, con colorii prismatici fuori luogo.

Ma nonostante alcune mancanze di scrittura - soprattutto nei momenti in cui occorre motivare la sua solitudine di Norman che nessuno sa spiegare - il film incita lo spettatore anche verso questioni inerenti il problema di razza: connotare Norman come appartenente alla popolazione ebraica, quasi implica che la sua avidità economica sia collegata con la sua provenienza. “Io non ho bisogno di contatti in questo momento”, risponde Alex Green (una enigmatica Charlotte Gainsbourg) all’offerta di aiuto di Norman.

Non a caso il regista ferma di essersi ispirato alla figura di Joseph Süß Oppenheimer, ebreo cresciuto nel ghetto di Heidelberg nel 1710 e divenuto consulente finanziario del duca Carlo Alessandro di Württemberg, nonché banchiere tedesco. Fu imprigionato per alto tradimento e lesa maestà - ma più probabilmente a causa della sua provenienza ebraica - e condannato a morte: la sua figura ispirò il romanzo “Suss L’ebreo” (1925) e il film omonimo di propaganda anti-semita di Veit Harlan (1940).

Ascendenze complicate da raccontare in un film, ma che Joseph Ceda riesce a rendere palpabili proprio perché lui è israeliano e quindi dotato di una pietà altrimenti rara.

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