Wolfenstein: Youngblood, recensione videogame per PS4 e Xbox One

Games / Recensione - 30 July 2019 14:00

A caccia di nazisti nella Parigi del 1980

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Wolfenstein: Youngblood è lo spin-off della serie di sparatutto in prima persona ambientata in un universo distopico, dove i nazisti hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale e controllano buona parte del mondo civilizzato. Se nel secondo capitolo, The New Colossus, la Resistenza statunitense guidata dallo storico William Joseph "B.J." Blazkowicz era riuscita a scalfire l’enorme macchina bellica tedesca, l’Europa è ancora schiacciata dall’ideologia totalitaria. Nei panni delle due figlie di Blazkowicz ci troviamo gettati a Parigi, in una Campagna interamente giocabile in modalità cooperativa online, un’assoluta novità all’interno della saga.

Wolfenstein: Youngblood
AU REVOIR, BLAZKOWICZ

La trama di Wolfenstein: Youngblood ha luogo quasi venti anni dopo le vicende del secondo episodio della serie, con un balzo narrativo che ci conduce tra le strade e architetture della capitale francese degli anni ’80, controllata ormai dall’esercito nazista, che presidia in maniera massiccia i quartieri della città. Jessie e Zofia Blazkowicz, figlie di BJ, partono per Parigi, ultimo luogo conosciuto dove loro padre si trovava al momento della scomparsa: l’intera avventura, dalla durata di circa 10 ore, può essere affrontata in singolo (con l’altro personaggio controllato dalla CPU) oppure in cooperativa online, con un amico o tramite matchmaking. Interessante e lodevole, in tal senso, la possibilità con la Deluxe Edition (39,99 euro contro i 29,99 dell’edizione standard) di sfruttare il Buddy Pass, che permette a due giocatori di scaricare e giocare insieme a Wolfenstein: Youngblood. La rinnovata struttura della Campagna messa in piedi da MachineGames, ora pensata per un’azione serrata a due giocatori, presenta un level design di primo ordine, grazie anche all’aiuto di Arkhane Studios, creatori di Dishonored e Prey, titoli particolarmente brillanti dal punto di vista della costruzione degli scenari. Youngblood presenta infatti una verticalità prima sconosciuta alla serie, grazie al doppio salto delle protagoniste, livelli ricchi di scorciatoie, passaggi e zone nascoste, balconi sui cui salire e nuove opportunità di approcciare i nemici, tra uno stealth preliminare e coperture da cui scaricare tutta la nostra potenza di fuoco.

JE VOUS DIS: BRAVO!

Il gameplay di Wolfenstein: Youngblood ricalca l’eccellente sistema shooting di The New Colossus, con un’azione dai ritmi frenetici, battenti, appassionati, fatta di rari momenti di pausa e un continuo crivellare di colpi la forza nazista, dal più piccolo soldato sino ai mastodontici nemici corazzati. La velocità di spostamento e di fuoco configurano un titolo spettacolare e adrenalinico, con una cornucopia di bersagli ed effetti a schermo, tra sangue che schizza e proiettili che tagliano la scena. La quantità di munizioni e colpi esplosi è tale da rendere ogni scontro a fuoco entusiasmante, sublimato dalla cooperativa, vero e proprio punto focale dell’esperienza di Youngblood. Accanto ad una storia piuttosto lineare, che può essere preferibilmente affrontata per la prima volta in singolo, si apre un endgame molto vicino, per concezione, a quanto già apprezzato nel secondo capitolo. Abbiamo infatti missioni secondarie e incarichi, da prendere nella nostra base sotterranea, tra recupero di progetti nazisti e l’uccisione di specifici obiettivi, che sfruttano le ambientazioni e i luoghi già visitati durante la storia. Se alla lunga tale backtracking può risultare pesante, la coop mitiga tale sensazione, andando a modificare dinamiche di gioco e possibilità offensive, con strategie atte a sfoltire le fila nemiche in maniera silenziosa, per poi prendere ai fianchi i nazisti durante le sparatorie. L’aspetto visivo è ancora costruito attorno alla sesta generazione dell’id Tech, il motore grafico proprietario sui cui anche Wolfenstein II: The New Colossus poggiava le basi. Il risultato è quindi molto simile al precedente capitolo e anche gli scenari riprendono tonalità e atmosfere tipiche della serie: quello che manca, tuttavia, è una caratterizzazione efficace della Parigi degli anni ’80, dove a tratti si fa davvero fatica a riconoscerne i tratti distintivi, seppure soffocati dal regime totalitario nazista. La realtà alternativa di Youngblood è quindi poco ispirata dal lato artistico, velatamente anonimo, considerando il fascino e l’attrattiva della capitale francese, che si presenta molto simile sia nelle fasi all’aperto che negli interni (ancora più simili) ai precedenti Wolfenstein. Ottimo il doppiaggio interamente in lingua italiana, accompagnato da filmati realizzati in maniera impeccabile, che perdono leggermente la vena tarantiniana del secondo episodio ma rimangono comunque di altissimo livello, con un sottotesto ironico, umano, intimo.


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