Recensione del film Silence

Cinema / Recensione - 12 January 2017 07:30

Martin Scorsese è il regista di "Silence", film con Andrew Garfiled e Adam Driver

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Anno 1643. “Io prego ma sono sperduto. Alla mia preghiera risponde il silenzio” dice il protagonista del film, padre Sebastian Rodrigues (Andrew Garfiled).

Silence” di Martin Scorsese segue questa afflizione del protagonista, quasi a voler rendere partecipe lo spettatore di una sofferenza e al contempo una determinazione rara. Sebastian Rodrigues, assieme al collega e gesuita Garrpe (Adam Driver) parte per il Giappone con l’obbiettivo di ricercare il loro mentore, padre Ferreira (Liam Neeson) e seminare nelle isole la fede cristiana. Ma qui i due sono vittime delle atroci persecuzioni che lo shogunato - il governo feudale - applica contro i convertiti al cristianesimo.

Molto dell’ascendente del film è dovuto all’aspetto visuale, per cui Scorsese ha fatto ricorso non ad effetti speciali ma a dolly o steadicam, così da rendere lo spettatore vicino ed intorno alla vicenda raccontata (leggi l'intervista a Domenica Cameron Scorsese).

Il percorso religioso di Scorsese trova spazio nella assuefazione, sacrificio e quasi autopunizione di Sebastian Rodrigues. Tanto che il protagonista avverte il senso del male e ne rimane quasi affascinato: “Il male è ovunque in questo posto. Sento la sua forza e perfino la sua bellezza”, dice.

Nel film “Kundun” (1997) il procedimento era simile, ovvero il giovane Lahmo rifiuta di venire meno ai principi del Buddismo contro i comunisti cinesi; in “The Walf of Wall Street” (2013) il focus era opposto, ovvero sul cinismo del carnefice Jordan Belfort che sulle persone è un aguzzino. Scorsese quindi sembra tornato con “Silence” ad analizzare le vittime dell’ingerenza, sia essa economica o religiosa. Così come fece ne “L’ultima tentazione di Cristo” (1988), in cui Gesù sulla croce non comprende il motivo di tanta sofferenza e per un momento sogna una vita alternativa.

In “Silence” invece è l’elegia cattolica e cristiana ad essere raccontata, come le fatiche umane cui si contrappone una crudeltà farisea. Anche qui i missionari sono crocifissi sul mare, ma la macchina da presa resta distante quasi a provare pietà e rispetto per lo scempio. Lo stesso Scorsese ha ammesso che quando lesse il romanzo - regalatogli durante una proiezione de “L’ultima tentazione di Cristo” - sembrava che parlasse proprio a lui, essendo cresciuto in una famiglia cattolica e praticante. Dall’altra emerge l'influenza minacciosa della colonizzazione, cui però il regista non presta troppa attenzione, volendo concentrasi sulle vittime più che sulle ragioni dei carnefici.

A questa crudeltà si contrappone l’atteggiamento stoico di Rodrigues e Garrpe, che rimangono nascosti per gran parte del film, dicono messa, incontrano la gente e viaggiano di notte.

La storia è tratta dall’omonimo romanzo di Shusaku Endo (1966), che ha venduto 800 mila copie. Lo scrittore a sua volta si ispirò alla vicenda reale di Giuseppe Chiara, gesuita palermitano che dopo la Rivolta di Shimabara sbarcò nell'isola di Oshima e fu poi arrestato a Chikuzen. Nel romanzo il protagonista è Padre Christovao Ferreira, apostasta che da superiore gesuita rinnegò la sua religione, si convertì al buddismo e sposò una donna giapponese.

Per ”Silence” Scorsese ha ricreato il team che lo segue da diversi anni, così da imbastire anche formalmente la sua trama. Il direttore della fotografia è Rodrigo Prieto, lo scenografo è Dante Ferretti, la montatrice è Thelma Schoonmaker. Le difficoltà sono state anche logistiche, con riprese svolte a Taipei, a Macao, nella zona montuosa di Jinguashi per la sequenza della capanna del carbone - il luogo dove i due gesuiti vengono nascosti dai cristiani del villaggio al loro arrivo in Giappone. A Tsenguanliaw lo scenografo Dante Ferretti ha ricostruito il villaggio di Tomogi, tra fango e pendii rocciosi, pioggia e nebbia.

Così anche dal punto di vista fotografico il direttore Pietro ha usato la luce naturale, rendendo il film l’opposto di ciò che accade ad Hollywood per le riprese dentro forbiti studios, ma con la medesima resa coloristica. La continuità della luce era compromessa dagli improvvisi cambiamenti del tempo, ma Pietro è resuscito a rendere omogenei i passaggi nonostante la stessa scena fosse girata in ore diverse.

Le scenografie di Ferretti rendono quasi scarno il racconto, le interpretazioni di Garfield e Driver sono sofferte e vissute. “Silence” diviene così il film più limpido di Scorsese, senza eccessi narrativi, deformazioni caratteriali.

© Riproduzione riservata




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