Venezia 80: recensione film Evil Does Not Exist
Evil Does Not Exist è il film in concorso alla Mostra del cinema di Venezia
Il film
giapponese Evil Does Not Exist ci conduce
vicino alla città di Tokyo. Takumi (Hitoshi Omika) e la figlia Hana (Ryo Nishikawa) vivono nel villaggio di Mizubiki: le immagini
iniziali con la macchina da presa che solca dal basso i rami degli alberi racconta
già la lentezza del film, che preclude ogni possibilità di modernità.
Il regista Ryusuke Hamaguchia – già vincitore dell’Oscar per Drive My Car – esce dalla modernità, per raccontare un tempo atavico, dove la vita modesta asseconda i cicli e l’ordine della natura. Il padre accompagna la figlia sorreggendola sulle spalle, mentre le spiega le varie tipologie di alberi. Se il tempo si ferma, anche l’attenzione dello spettatore ne risente, troppo fiaccata da una narrazione stanca e senza colpi di scena, siano essi minimali o eclatanti.
La contemporaneità si materializza con la possibilità che nel villaggio si costruisca un glamping, che ospiterà un campeggio con varie forme di intrattenimento e servizi turistici. Gli abitanti del villaggio vengono a conoscenza del progetto, e due funzionari di Tokio, Takahashi (Ryuji Kosaka) e Mayuzumi (Ayaka Shibutani) giungono al villaggio per tenere un incontro: per i residenti, il progetto avrà un impatto negativo sulla rete idrica locale, e ciò causa il malcontento generale.
Le aspettative del film Evil Does Not Exist
Lo stesso gambling è simbolo delle novità cui non ci si abitua, così come il film Evil Does Not Exist non concede nulla alle mode delle narrazioni attuali, siano essere modificate dalle tempistiche dello streaming, sia da quello dello spettatore post-pandemico. Così Hamaguchia pare disinteressarsi delle aspettative di chi guarda la sua opera, e non lo alletta con un racconto empatico, bensì – quasi con presunzione – estremizza la sua attenzione. Interessanti sono gli scambi di battute tra Takahashi e Mayuzumi in auto, con lei che lo sbeffeggia perché si è iscritto a una app di incontri. Oppure quando Takahashi afferma che - dopo aver spaccato un ceppo di legna – ha provato un’esperienza che gli ha fatto provare la libertà.
Ne risulta un film difficile da seguire, e solo chi riesce a giungere al finale, può assaporare le stesse pietanze che i ristoratori offrono – nel film - agli ospiti. Ma, così come per il film, per alcuni il wasabi è indigesto.
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