Recensione La casa di Jack con Matt Dillon
In sala dal 28 febbraio, di Lars von Trier.

La casa di Jack (The House That Jack Built, il titolo originale dell'opera) ha segnato il ritorno di Lars von Trier a Cannes. Presentato in anteprima e fuori concorso, il film ha diviso la critica fin dall'inizio: c'è chi ha abbandonato la sala, si parla di un centinaio di addetti ai lavori, e chi è rimasto, contribuendo alla standing ovation di fine proiezione con un applauso lungo una decina di minuti.
Negli
Stati Uniti, La casa di Jack ha continuato a incassare recensioni
miste, tra giudizi inclini al capolavoro e quelli preposti a
considerazioni affatto lusinghiere su un'opera violenta, nichilista e
perversa.
Prevedibilmente, al box office i numeri sono modesti.
Originariamente, il regista danese voleva farne un prodotto
televisivo, formula probabilmente più congeniale, data la
complessità e la natura seriale del progetto suddiviso, di
abitudine, in capitoli più l'epilogo.
Schede
Il protagonista è Matt Dillon che interpreta il ruolo di un serial killer. Un ingegnere con il talento di un architetto: “Un ingegnere legge la musica, un architetto la suona”, confida al suo interlocutore "immaginario" (Bruno Ganz). La carriera di psicopatico viene raccontata attraverso cinque incidenti e dodici anni di impunità. Tutto comincia con l'incontro con una donna (Uma Thurman) e l'auto in panne. Jack le dà un passaggio forzato per l'officina, ma la chiacchiera fastidiosa della passeggera, che finisce per ridicolizzarlo come potenziale omicida, fa scattare in Jack un prurito criminale. La sua natura ossessivo-compulsiva trova sfogo come artista del male, di delitto in delitto, con maniacale perfezionismo, tanto da soprannominarsi Mr. Sophistication.
È un girone dantesco agli inferi, quello di Jack. Lars von Trier lo mette in scena citando quadri (La zattera della medusa), scrittori (Ray Bradbury), colleghi (Christopher Nolan), canzoni (David Bowie), se stesso (L'elemento del crimine, 1984): con umoristica disinvoltura.
La casa di Jack è un film monumentale. L'impronta autoriale sovrasta il thriller, contaminando la capacità di von Trier di inscenare storie controverse e con alto tasso provocatorio. Il risultato finale non lascia scampo alle mezze misure: o si abbandona la sala, o lo si applaude.
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