Outlast II, recensione videogame per PS4 e Xbox One

Games / News - 27 April 2017 14:00

Outlast II è un horror maturo, brutale e crudo, con una trama dai connotati religiosi e dai torbidi risvolti. Il seguito dei Red Barrels si conferma come uno dei migliori nel suo genere di appa

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Outlast II è il videogioco sviluppato dai Red Barrels, che con il primo capitolo hanno inaugurato una delle serie horror più riuscite degli ultimi anni, con l'arrivo su PS4 e, successivamente, su Xbox One. L’opera della software house ha fortemente influenzato l’intero genere, con una violenza nei contenuti, espliciti e mai filtrati, e meccaniche di gameplay tanto semplici quanto paurose, date la passività del protagonista, che non ha modo di difendersi dagli attacchi dei nemici. L’ansia e la tensione generati configuravano il prodotto come uno dei più paurosi disponibili sul mercato, con jump scare improvvisi e situazioni dove scappare era l’unica possibile soluzione.

Se l’originale ambientava il proprio racconto all’interno di un manicomio ormai abbandonato, Outlast II propone una trama ben più matura e profonda, che unisce diverse linee narrative, per un intreccio maggiormente sofisticato e riuscito. La misteriosa scomparsa di una donna incinta, Jane Doe, convince nostra moglie, e giornalista, Lynn ad indagare sul paesino di Temple Gate, in mezzo al deserto. L’arrivo, tuttavia, non si configura come quello aspettato, con l’elicottero in avaria e la separazione della giovane coppia. Blake Langermann, cameraman e marito di Lynn, è il protagonista del gioco, e la sua ricerca parte proprio da qui, con il nefasto presagio del pilota trovato crocifisso a poca distanza dai resti del velivolo. Le tematiche affrontate portano il titolo verso i lidi della religione e dei suoi fanatismi, tra riti e sacrifici umani, un prodotto horror che non ha paura di nuotare nel mare torbido della più oscura follia.



Il gameplay di Outlast II rimane ancorato alle meccaniche del predecessore, con un’impostazione in prima persona che permette di muoverci all’interno degli scenari, con il primo e fondamentale scopo di passare indenni e inosservati dagli abitanti della cittadina. La struttura rimane la medesima, con la nostra fida telecamera in mano, capace di riprendere i momenti chiave, permettere la visione al buio ed essere usata come microfono direzionale per svelare movimenti e presenze dei nemici. La ricerca di documenti, che svelano retroscena del culto religioso e del suo leader, si unisce a quella delle batterie, utili e fondamentali per utilizzare la visione notturna della camera.



La grafica di Outlast II è, infatti, dominata dal nero e dai tratti scuri, dove il buio rappresenta un ostacolo non di poco conto, sopratutto contro nemici ben più veloci ad adattarsi alla scarsità della luce. La fotografia è quindi incentrata in scenari dove l’illuminazione è ridotta al minimo, soprattutto nelle sezioni al chiuso, che ricordano maggiormente da vicino il primo capitolo. Un deciso passo in avanti, invece, lo troviamo nelle fasi all’aperto, dove lo spazio di manovra è più ampio e le soluzioni visive più efficaci, tra campi di grano e fughe labirintiche, da trial & error. La modellazione più morbida e curata, insieme ad un impianto audio incisivo, configurano Outlast II come un’opera riuscita anche dal punto di vista tecnico, aspetto dove il primo capitolo faticava un bel po’.

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