Intervista a John Woo per il film ‘Manhunt’

Cinema / News - 25 November 2017 08:00

Il film ha segnato il ritorno del regista al genere che lo ha consacrato, l’action di ‘The Killer’ e ‘A Better Tomorrow’. Abbiamo avuto l’onore di incontrarlo alla

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Dopo aver dedicato quasi gli ultimi dieci anni della sua carriera al cinema epico di guerra (“La Battaglia dei Tre Regni”, “The Crossing”) e al wuxia (“La congiura della pietra nera”), per il suo 36° lungometraggio John Woo ha deciso di tentare un glorioso ritorno all’action, il genere che lo ha reso uno dei registi più amati e influenti degli ultimi trent’anni.

È nato così “Manhunt”, proiettato in anteprima al 74° Festival di Venezia e uscito in Cina lo scorso 24 novembre. Ci sono gli inseguimenti in moto d’acqua come in “Face/Off”, ci sono due nemici costretti a diventare amici tra una sparatoria e l’altra come in “The Killer”, e poi i ralenti, le colombe, le coreografie ai limiti delle leggi della fisica. Un ritorno a casa che, seppur non ai livelli del John Woo degli anni Ottanta, sa coinvolgere ed emozionare soprattutto i fan di vecchia data.

Ecco cosa ci ha raccontato il regista in occasione quando lo abbiamo incontrato a Venezia.


D: ‘Manhunt’ è il remake del film giapponese ‘Kimi yo Fundo no Kawa o Watare’ del 1976. Perché ha scelto di riadattarlo?

John Woo: Non è proprio un remake di quel film, perché non ne abbiamo ottenuto i diritti. Ci siamo basati sul romanzo originale mantenendo le linee narrative principali, ma aggiungendo scene d’azione nuove per dargli un respiro più moderno. Il romanzo è stato scritto negli anni ‘60, quindi abbiamo dovuto aggiornarlo per un pubblico che non ha mai visto il film giapponese. I due sicari femminili, ad esempio, sono stati una mia aggiunta.

D: In ‘Manhunt’ abbiamo i due protagonisti uniti da un paio di manette, abbiamo l’inseguimento sulle moto d’acqua, abbiamo le colombe. Perché continua a riproporre questi elementi ricorrenti del suo cinema?

John Woo: Uno dei temi principali del mio cinema è l’amicizia. Qui abbiamo un cinese e un giapponese divisi da tutta una serie di incomprensioni. Il messaggio che volevo mandare è che possiamo essere amici, e lasciarci l’odio alle spalle. L’idea di “ammanettare” i protagonisti è mia, non c’era nel libro. I due personaggi sono costretti a collaborare, ognuno avendo una mano sola per sparare. In quella scena raggiungono una sintonia tale che sembrano diventare una persona sola. Tramite l’azione, volevo mostrare la nascita della loro amicizia.

D: Sono passati 20 anni da ‘Face/Off’. Ha un buon ricordo di quell'esperienza, e in generale del suo periodo americano?

John Woo: Fu un film molto apprezzato, e conservo un bellissimo ricordo del lavoro fatto con John Travolta e Nicolas Cage. I produttori mi diedero molta libertà creativa, ma ci fu un episodio per me davvero indimenticabile. Discutemmo molto sul finale: per come l’avevo pensato io, John Travolta uccideva il cattivo e poi adottava il figlio di quest'ultimo. In un primo momento lo studio non mi permise di girare così il finale; dicevano che il pubblico americano non avrebbe accettato un gesto simile da parte dell’eroe. Io risposi che non mi sembrava una questione di differenze culturali, ma di umanità: siamo tutti uguali, e tutti vogliamo che un bambino non venga abbandonato. Lì per lì non mi diedero retta ma poi, alle proiezioni di prova, leggendo i pareri compilati dagli spettatori, scoprimmo che il film aveva una percentuale di gradimento bassissima, perché al pubblico non piaceva il fatto che l’eroe non adottasse il bambino. I produttori si scusarono e mi chiesero di rigirare il finale. Ne fui felicissimo, perché avevo dimostrato la mia tesi: la natura umana non cambia a prescindere da dove sei nato.

D: ‘Manhunt’ è stato girato in Giappone: com’è stato lavorare lì? E qual è il suo prossimo progetto?

John Woo: Girare in Giappone è stato un sogno. Fare un film in un altro Paese è sempre un’occasione per imparare qualcosa su una cultura diversa. E visto che sono innamorato del cinema europeo molto più di quanto lo sia di quello americano, il prossimo sogno è quello di girare in Europa.

© Riproduzione riservata




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