Intervista a John Woo per il film ‘Manhunt’
Il film ha segnato il ritorno del regista al genere che lo ha consacrato, l’action di ‘The Killer’ e ‘A Better Tomorrow’. Abbiamo avuto l’onore di incontrarlo alla
Dopo aver dedicato quasi gli ultimi dieci anni della sua carriera al cinema epico di guerra (“La Battaglia dei Tre Regni”, “The Crossing”) e al wuxia (“La congiura della pietra nera”), per il suo 36° lungometraggio John Woo ha deciso di tentare un glorioso ritorno all’action, il genere che lo ha reso uno dei registi più amati e influenti degli ultimi trent’anni.
È nato così “Manhunt”, proiettato in anteprima al 74° Festival di Venezia e uscito in Cina lo scorso 24 novembre. Ci sono gli inseguimenti in moto d’acqua come in “Face/Off”, ci sono due nemici costretti a diventare amici tra una sparatoria e l’altra come in “The Killer”, e poi i ralenti, le colombe, le coreografie ai limiti delle leggi della fisica. Un ritorno a casa che, seppur non ai livelli del John Woo degli anni Ottanta, sa coinvolgere ed emozionare soprattutto i fan di vecchia data.
Ecco cosa ci ha raccontato il regista in occasione quando lo abbiamo incontrato a Venezia.
D: ‘Manhunt’ è il remake del film giapponese ‘Kimi yo Fundo no Kawa o Watare’ del 1976. Perché ha scelto di riadattarlo?
John Woo: Non è proprio un remake di quel film, perché non ne abbiamo ottenuto i diritti. Ci siamo basati sul romanzo originale mantenendo le linee narrative principali, ma aggiungendo scene d’azione nuove per dargli un respiro più moderno. Il romanzo è stato scritto negli anni ‘60, quindi abbiamo dovuto aggiornarlo per un pubblico che non ha mai visto il film giapponese. I due sicari femminili, ad esempio, sono stati una mia aggiunta.
D: In ‘Manhunt’ abbiamo i due protagonisti uniti da un paio di manette, abbiamo l’inseguimento sulle moto d’acqua, abbiamo le colombe. Perché continua a riproporre questi elementi ricorrenti del suo cinema?
John Woo: Uno dei temi principali del mio cinema è l’amicizia. Qui abbiamo un cinese e un giapponese divisi da tutta una serie di incomprensioni. Il messaggio che volevo mandare è che possiamo essere amici, e lasciarci l’odio alle spalle. L’idea di “ammanettare” i protagonisti è mia, non c’era nel libro. I due personaggi sono costretti a collaborare, ognuno avendo una mano sola per sparare. In quella scena raggiungono una sintonia tale che sembrano diventare una persona sola. Tramite l’azione, volevo mostrare la nascita della loro amicizia.
D: Sono passati 20 anni da ‘Face/Off’. Ha un buon ricordo di quell'esperienza, e in generale del suo periodo americano?
John Woo: Fu un film molto apprezzato, e conservo un bellissimo ricordo del lavoro fatto con John Travolta e Nicolas Cage. I produttori mi diedero molta libertà creativa, ma ci fu un episodio per me davvero indimenticabile. Discutemmo molto sul finale: per come l’avevo pensato io, John Travolta uccideva il cattivo e poi adottava il figlio di quest'ultimo. In un primo momento lo studio non mi permise di girare così il finale; dicevano che il pubblico americano non avrebbe accettato un gesto simile da parte dell’eroe. Io risposi che non mi sembrava una questione di differenze culturali, ma di umanità: siamo tutti uguali, e tutti vogliamo che un bambino non venga abbandonato. Lì per lì non mi diedero retta ma poi, alle proiezioni di prova, leggendo i pareri compilati dagli spettatori, scoprimmo che il film aveva una percentuale di gradimento bassissima, perché al pubblico non piaceva il fatto che l’eroe non adottasse il bambino. I produttori si scusarono e mi chiesero di rigirare il finale. Ne fui felicissimo, perché avevo dimostrato la mia tesi: la natura umana non cambia a prescindere da dove sei nato.
D: ‘Manhunt’ è stato girato in Giappone: com’è stato lavorare lì? E qual è il suo prossimo progetto?
John Woo: Girare in Giappone è stato un sogno. Fare un film in un altro Paese è sempre un’occasione per imparare qualcosa su una cultura diversa. E visto che sono innamorato del cinema europeo molto più di quanto lo sia di quello americano, il prossimo sogno è quello di girare in Europa.
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