Festival di Venezia 2017, 'Una famiglia': incontro con Sebastiano Riso e Micaela Ramazzotti

Cinema / Festival / News - 04 September 2017 16:45

Dopo il successo di 'Più buio di mezzanotte', nel suo secondo film il regista romano affronta la terribile questione del traffico dei bambini appena nati

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Vincent (Patrick Bruel) e Maria (Micaela Ramazzotti) sono una coppia apparentemente felice, che si gode la propria felicità in un appartamento alla periferia di Roma, presentata come la città indolente e distratta che troppo spesso siamo abituati a vedere. Eppure, appena sotto la superficie, Maria e Vincenzo celano una dinamica mostruosa, un progetto terribile che lui persegue con gelida determinazione, e a cui lei accetta di partecipare spinta da un amore incondizionato. Ma un giorno la coscienza della donna avrà un sussulto, e a quel punto non sarà più possibile per lei assecondare ciecamente l’uomo della sua vita.

Una famiglia” nasce dalla volontà di raccontare una problematica reale, anche se poi ovviamente si concentra molto sul dramma personale dei suoi protagonisti.

“Il film nasce da tutta una serie di episodi su cui ci siamo documentati”, ha spiegato il regista, Sebastiano Riso. “È frutto di una lunga ricerca, per la quale sono state fondamentali le intercettazioni telefoniche fornite dal Procuratore Raffaella Capasso”. Tutto questo materiale si è rivelato indispensabile per capire meglio la realtà del mercato nero di bambini in Italia.

Ma Riso non voleva scrivere un’inchiesta, né correre il rischio che i personaggi risultassero troppo freddi. “Quello che mi interessava era raccontare una coppia, una coppia legata da tutta una una serie di circostanze, e che alla fine del film sarà costretta a separarsi. È il prezzo che dovrà pagare Maria per riappropriarsi del suo corpo”.

Nel film, Micaela Ramazzotti interpreta nuovamente una “mater dolorosa”, un tipo di personaggio che ha caratterizzato moltissimi dei film a cui ha partecipato finora. “Rincorro sempre questo tipo di madri, sono ruoli che voglio fortemente. Più sono disperate, più vengono da mondi subalterni, più le voglio interpretare. Mi sento portavoce di queste donne, e le voglio approfondire. Voglio difenderle. Non mi piacciono le eroine”.

In risposta ad un’altra domanda, Riso ha tenuto a ribadire che il film “non parla di madri surrogate, di utero in affitto, o di adozioni illegali. Parla del rapporto morboso, di dominazione, che c’è tra i due protagonisti. Volevamo anche far capire quanto sia difficile oggi, in Italia, essere genitori. In Italia adottare è complicatissimo, e questo crea una richiesta; e dove c’è richiesta c’è mercato”.

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