Recensione Habemus Papam, "fumata grigia..."

Cinema / News - 15 April 2011 07:30

Nanni Moretti torna sul grande schermo con una pellicola inusuale

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Dopo la parentesi di Direttore del Festival del Film di Torino, che lo ha impegnato e tenuto lontano dalla macchina da presa per più di due anni, Nanni Moretti torna sul grande schermo con una pellicola inusuale, in equilibrio su di un sottile filo sorretto ai due estremi da un senso di inadeguatezza patologico infermizzante e dall'opposto senso di onnipotenza, di narcisismo, che forse lo porterà nella sua amata Cannes, dove ha già vinto con la "Stanza del figlio".

Il film inizia raccontando la morte di un pontefice, che alcuni rimandi porterebbero a pensare alla figura di Giovanni Paolo II, a cui segue, secondo rito, il conclave dei cardinali riuniti per eleggere il nuovo Papa.

Ma il discendente di Pietro non si sente in grado di assumersi la responsabilità assegnatagli e, preso da un attacco di panico, non riesce ad accettare il volere supremo e ad iniziare il suo pontificato.

Viene così chiamato il miglior psicanalista (Nanni Moretti), con la speranza che riesca a farlo guarire nel più breve tempo possibile, sebbene siano tutti consci dei differenti approcci in quanto ad anime e loro "cure".

Ma i blocchi dell'animo non sono cosa da poco, e oltretutto a complicare la già inusuale situazione ci pensa il Papa che fugge dalla Città del Vaticano e dal rigido controllo a cui è affidato, ritrovandosi così a vagabondare per Roma, in un percorso inconsapevole di fuga e ad allo stesso tempo di ricerca della sua passione giovanile mancata, il teatro.

I due, lo psicanalista, costretto insieme ai Cardinali in uno stato di residenza forzata all'interno delle stanze vaticane ed il Papa, che si sono incontrati solo per il tempo di una breve seduta, iniziano un dialogo immaginario attraverso due percorsi paralleli che dura per tutto il tempo della pellicola. Il primo personaggio, molto "morettiano", che ti strappa anche più di una risata, alle prese con le proprie ossessioni e quelle di una chiesa umanizzata che sembrerebbe incapace di aprirsi all'esterno. Il secondo, alle prese con il gesto più coraggioso, la consapevolezza di non essere in grado, non per mancanza di fede o irresponsabilità, ma solamente per umile constatazione di inferiorità rispetto al compito assegnato.

Ma la speculazione seppur interessantissima e sicuramente originale nella lettura di questo dualismo tra senso di inadeguatezza e onnipotenza che spesso muovono persone sempre più frenetiche, non riesce a riempire lo spazio dell'intero film, lasciando vuoti eccessivi su molti degli argomenti che per forza di cose il film va a toccare.

E si esce con la sensazione di un film con una bella fotografia, ma che non punta su questa, che affronta le debolezze dell'umanità tutta, senza però addentrarsi nei meandri della psiche, che riporta il Moretti che conosciamo e che abbiamo da sempre apprezzato, ma non il personaggio-film come molti dei suoi passati, insomma Habemus Papam è un film di mezzo, senza le sparate e le psicosi del giovane Nanni, o le emozioni del Moretti maturo, o forse, per alcuni, la somma dei due.

© Riproduzione riservata


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