Intervista Mommy, Xavier Dolan: siamo in un mondo senza speranza pieno di persone che sperano

Cinema / Intervista - 02 December 2014 13:00

Mommy, intervista al regista Xavier Dolan a proposito della sua ultima pellicola, del suo rapporto con il cinema e la musica, dei futuri impegni e anche dei prossimi Oscar.

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Mauxa intervista Xavier Dolan in occasione dell’uscita in Italia di Mommy, film che parla della complicata relazione tra una madre tenace e un figlio malato e violento. La pellicola è stata presentata a Cannes 2014 e ha vinto il premio della giuria insieme a “Adieu au langage” di Jean-Luc Godard. Strada già spianata per questo ragazzo canadese, che all’età di 25 anni è già al suo quinto lungometraggio e si appresta a partecipare ai prossimi Oscar dopo la candidatura ricevuta dal suo Paese.

D. Questo film non sembra molto indulgente nei confronti della figura materna, perché questa scelta?

R. Io non mi accanisco sulla figura della madre: in tutti i miei film è un personaggio un po’ turbato, con i suoi problemi e défaillance, ma vince sempre lei alla fine. In Mommy Diane è pronta a tutto per suo figlio, perde tutto, quasi anche la salute mentale: si sacrifica per lui. Quindi non vedo ciò che c’è di crudele nella mia rappresentazione: io non mi accanisco sulle madri, mi accanisco con loro. Per me è una madre coraggio, si vede la sua forza, tante persone non avrebbero la forza di lasciare il proprio figlio per amore. La vita è crudele, io non lo sono. Non posso fare dei film dove le madri saltellano in un campo fiorito; creo delle storie dove metto in risalto il loro coraggio. Il messaggio del film è che siamo in un mondo senza speranza però pieno di persone che sperano.

D. Quanto c’è di te nel protagonista, Steve?

R. Il personaggio di questo film più ancorato alla mia realtà è sicuramente Steve, non tanto per il suo umorismo, quanto per la sua violenza. Da piccolo ero molto violento, lottavo e picchiavo costantemente senza che nessuno capisse il perché. Poi con l’età ho trovato un canale dove far sfociare questa energia, la mia rabbia verso la società e verso quei gruppi di persone che usano ostracismo: il cinema. I miei personaggi infatti si ribellano alla società e cercano di definirsi tramite lo sguardo della gente normale: in questo sicuramente assomiglio a Steve, ma non rappresenta me; anche se devo dire che ancora ho dentro di me un po’ di violenza… che esprimo nei confronti del mio iPhone!

D. Com’è nata l’idea di usare il formato 1:1 come cassa di risonanza per le emozioni dei personaggi?

R. Per me l’ 1:1 è il formato classico della foto, da quando Kodak ha messo in commercio la sua macchina fotografica Brownie. Adesso nel 2014 si pensa sia il formato di Instagram, invece per me è il formato della foto, del ritratto. Volevo essere vicino agli occhi dei personaggi, non volevo ci fossero delle distrazioni a destra o a sinistra. Volevo che ci si concentrasse sull’essere umano.

D. Nel film c’è molta musica di repertorio e pezzi moderni, come è stata fatta la scelta?

R. La musica arriva molto presto nel processo di scrittura: posso sentire una canzone ed avere un’ispirazione. Mi è capitato di sentire una melodia alla radio e poi scrivere tutto un film, che tutt’ora non ho girato. Per esempio il pezzo di Ludovico Einaudi “Experience”, quando l’ho sentito mi ha ispirato la scena di una donna che pensa alla vita a cui non avrà mai accesso: non sapevo fosse per Mommy, ma poi ho creato il film attorno a questo. Inoltre volevo un uso diegetico della musica, che fossero i personaggi ad averne il controllo, non un regista che sceglie ciò che più gli piace. Infatti è Steve a mettere le canzoni, che vengono dalla compilation che ha fatto suo padre prima di morire. Per me era importante mettere canzoni che piacciano alla gente e a me, cresciuto negli anni ’90. Inoltre nella sala - durante la proiezione - i ricordi che tornano in mente agli spettatori vanno ad aggiungere valore al film senza il mio controllo.

D. Cosa c’è secondo te da indagare ancora sulla famiglia?

R. La famiglia, la figura materna, le relazioni con i propri figli sono per me un pozzo senza fondo di ispirazione. Credo che potrei fare due film all’anno fino a quando avrò ottantacinque anni su questo tema - potrebbe essere una sfida - sempre sperando ovviamente di rinnovarmi. Le famiglie sono come le storie d’amore, ci sono tante proposte e tutte differenti.

D. Ti ha stupito la candidatura all’Oscar?


R. Sono stato molto lusingato dalla proposta, però non sono rimasto sorpreso della scelta del Canada, perché tutti i paesi decidono i propri film per essere rappresentati all’Oscar, ed essendo già presente sulla scena internazionale, statisticamente Mommy era un candidato potenziale. Ovviamente però niente è sicuro nella vita e quando l’abbiamo saputo eravamo molto orgogliosi ed ispirati. Io ho già conosciuto una sfida del mondo del cinema che è Cannes: certamente andare ad Hollywood è un’altra cosa, ma sono molto contento. 

D. Chi ti ha più ispirato dal punto di vista cinematografico?

R. Mi ispiro soprattutto a grandi fotografi, e non a grandi film. Inoltre non guardo molti film mentre sto girando qualcosa. Hanno grande influenza su di me sicuramente le pellicole della mia infanzia come “Mamma ho perso l’aereo”, “Batman Returns”, “Titanic”. Mi ispiro anche molto al mondo della moda e a quello della pittura. Ho poca cultura cinematografica, ho visto pochi film e a volte me ne vergogno. A me però - vedere il film di qualcun altro - raramente mi ispira, magari mi spinge a riflettere.

D. Quanto il cinema è stato un processo curativo per te?

R. Il cinema è tutta la mia vita, è il medium che ho trovato per esprimere le mie paure, le mie preoccupazioni e i miei sogni: è il motore della mia vita; Quando non sto girando è come se stessi aspettando il prossimo film. Chiaramente mi piace la mia vita, ho degli amici, una famiglia, in questo momento sto viaggiando molto per la promozione di Mommy, però è come se una parte di me stesse dormendo, in attesa di creare. È molto strano quando si decide di lavorare nel mondo del cinema, perché è come se si decidesse di non vivere più una vita reale: la musica che ascolto non la ascolto per me, ma è quella che metterei nei miei film; le luci sono quelle che vorrei utilizzare quando giro; i luoghi sono quelli che vorrei filmare, invece che quelli dove vorrei vivere; i costumi - lo ammetto - sono quelli che vorrei comprare per me. Il cinema per me è parlare, respirare, esprimermi.

D. Qualche news sul suo prossimo progetto: si dice sarà coinvolta anche Jessica Chastain?

R. Il prossimo film si chiamerà “The Death and Life of John F. Donovan” e parla della vita di una star, un uomo che lavora nello showbiz da 5-6 anni, definito il nuovo James Dean o Marlon Brando, un uomo che i registi amano e il pubblico idolatra. Si sa poco di lui, fino a quando si scopre che intrattiene una relazione epistolare - senza che venga mai svelato ciò che è scritto nelle lettere - con un ragazzino di undici anni che sogna di fare l’attore. I social network e i media si impossessano del caso e tutto questo farà si che la sua carriera subisca un calo drastico. Non si vuole fare una satira di Hollywood, è per dimostrare come la vita privata delle star possa essere intaccata dai media; inoltre il ruolo che hanno i mezzi di comunicazione nel cinema e dell’arte è fondamentale: sono loro a padroneggiare. Nella pellicola comunque voglio divertimento, per questo lo schema narrativo è quello di un film di supereroi: c’è un buono ed un cattivo, e quest’ultimo è interpretato da Jessica Chastain. Lei mi ha scritto su twitter dopo aver visto Mommy a Cannes. Quindi ci siamo scritti, ci siamo visti dal vivo, abbiamo bevuto del vino, ci siamo piaciuti (poi è finita lì la storia)… siamo ottimi amici ora. Il suo è un ruolo senza sfumature, è al 100% diabolico. A volte si dice che bisogna lasciare un barlume di bontà dietro alla cattiveria, invece no: lei sarà una vera e propria “bastarda” (detto in italiano ndr).

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