Recensione del film Resident Evil: The Final Chapter

Cinema / Recensione - 14 February 2017 07:30

"Recensione del film Resident Evil: The Final Chapter" è il film di Paul Thomas Anderson con Milla Jovovich

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Paul Thomas Anderson sa oltrepassare i limiti dell’azione collegandoli con ghermiti elementi personali. Nei primi tre minuti del film da lui diretto “Resident Evil: The Final Chapter" vediamo una bambina, Alice essere affetta da invecchiamento precoce; un bambino che sembra moribondo e che all’improvviso azzanna l’uomo che cerca di aiutalo; il padre di Alice che con la propria azienda (Umbrella Corporation) cerca di creare un virus per far guarire a figlia, il collega Dr. Alexander Isaacs (Iain Glen) lo fa soffocare davanti agli occhi di lei.

Dopo vari anni il mondo soccombe al virus creato dal padre di Alice - una funambolica Milla Jovovich - e usato dal collega per scopi militari. La Red Queen dice a Alice di tornare alla Umbrella Corporation dove è stato sviluppato un antivirus che riporterà la salute.

La figura preminente non può che essere Alice, nata nel 2002 nel primo film della serie, e vissuta per sei franchise cinematografici. Il personaggio vive nel mondo creato attorno al videogioco “Resident Evil”, ideato nel 1996 da Shinji Mikami che fu l’iniziatore del genere dei games survival horror, dove un gruppo di individui combattono contro la Umbrella Corporation, dopo l’immissione del T-virus che può trasformare gli esseri umani in zombie e mostri.

Quando la protagonista Alice sale sulla motocicletta, il regista Paul T. Anderson non può evitare di filmarla col ralenti, il che evidenzia l’attenzione per un prodotto che mira a porre in risalto la forza mascolina delle donne. Un po’ come avveniva in “Salt”, solo sorretto da una sceneggiatura inferiore. Un meccanismo che crea nello spettatore una doppia identificazione: se la donna non è più romantica bensì aggressiva, sa essere più sincera dell’uomo nei suoi gesti non consolatori. E dall’altra parte attrae il pubblico femminile che vede emancipata la propria autorità.

Infatti Alice dopo essere stata colpita in viso finisce a terra e non mostra segni di percosse, si alza e uccide l’assalitore; accerchiata da animali famelici fugge e da un diruto si getta in mare; in un tunnel riesce ad essere aggrappata ad una sporgenza che la salva, mentre uno dei suoi compagni cade triturato da un’elica. Sono le classiche situazioni da videogioco in cui si devono superare livelli successivi, e che nel film vengono riproposti quasi con ripida discesa.

Anche la scoperta finale di Alice si risolve senza troppe crisi esistenziali, anzi con lotte acrobatiche. Il film quindi proprio per la sua capacità di proporre un intrattenimento effettivo - il budget è di 40 milioni di dollari e finora ne ha incassato 135, mentre tutta la saga supera i 900 - riscuoterà certamente un successo nel pubblico più giovane. Pare quasi chiedere agli spettatori se ciò che mostra sia paragonabile ad una serie tv, e la riposta è certamente no. Non si esige qui infatti una trama con sviluppo dei personaggi, ma senso di rappacificazione quasi geometrico: Alice soffre, poi si rialza. E lo stesso regista sa bene che questo riscatto va offerto al pubblico, concentrato in novanta minuti, e non in logorroiche serie sugli zombie da calcolabili puntate.

"Spero che questo film emuli i grandi ambienti dei film precedenti - ha detto il produttore Jeremy Bolt che la lavorato assieme alla tedesca Constantine Films — il desolato Washington D. C. vede Alice essere l'ultima persona rimasta sul pianeta”. Si passa al road movie che vede Alice in viaggio verso Raccoon City; si finisce con il Sci-Fi quando siamo a The Hive. Lo scenografo Edward Thomas ha ammesso che tutto il suo design è stato ispirato dal videogioco, roboante e lucidato.

Proprio per la sua mancanza di pretese, ma di mantenimento delle promesse “Resident Evil: The final chapter” è uno dei film dl genere più schietti.

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