Recensione del film Oceania
Oceania ("Moana") è il nuovo film della Walt Disney

Oceania (“Moana”) è il film d’animazione di Ron Clements e John Musker. Prodotto dalla Walt Disney rievoca le possibilità di rinvigorire il brand dell’azienda piuttosto che raccontare una storia interessante.
Lontano è il periodo di “Frozen” (2013) in cui la protagonista Elsa doveva lottare contro una forza interiore cinica che la spingeva a gelare il paesaggio, e per estensione i sentimenti.
Ora invece ci ritroviamo con una giovane con la fattezze di “Pocahontas” (1995) e le ambizioni di Ariel de “La Sirenetta” (1989). Vaiana è una imperatrice che deve portare il benessere nella sua isola altrimenti votata alla distruzione: il padre Tui la dissuade, ma lei di nascosto supera la barriera corallina tanto temuta (non si comprende per quale motivo oggettivo). Così va alla ricerca del malvagio Maui, recuperando il cuore di Te Fiti, cesellato in pietra Pounamu, che poi l’aiuterà a sconfiggere il demone di lava Te Kā.
La direzione è lontana da quella di capolavori come “Big Hero 6” (2014), dove un robot Baymax aiuta il ragazzino Hiro Hamada rimasto senza fratello a riacquistare fiducia in se stesso. Oppure in “Zootropolis” (2016), con la città ideale in cui riportare l’ordine.
In "Oceania” invece ci si basa su tradizioni della Giamaica, tatuaggi, capacità di entrare in un Lalotai, regno dei mostri dove risiede il granchio Tamatoa, ganci da recuperare, ironici polli già visti. Anche dal punto di vista iconografico, le texture delle animazioni paiono più improvvisate, con colori goffi, poco affini allo splendore di “Inside Out” (2015).
Nella narrazione - soprattutto d’animazione - i bambini non sono ormai scevri dagli stimoli nuovi che giungono dal web, dove temi come l’insicurezza, la morte sono visitati. Basti pensare ad un film come “La mia vita da Zucchina” (2016), in cui il bambino di 9 anni Zucchina è vessato dalla madre alcolista, e dopo che lei muore finisce in un orfanotrofio con l’anelito di vita migliore. Oppure “Sing” (2016), in cui l’azione canora echeggia quella cinica dei talent show musicali.
Oppure la complessa narrazione di “Kubo e la spada magica” (2016), con il protagonista Kubo che deve trovare l’armatura indossata dal defunto padre samurai, per svelare il segreto del suo passato. Tutti questi film sono candidati ai Golden Globes 2017, e speriamo abbiano più visibilità di un semplice salto di una ragazzina in bikini su un’isola floreale.
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