Recensione del film Monolith

Cinema / Recensione - 11 August 2017 08:00

"Monolith" è il film con Katrina Bowden sulle ansie di una madre

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Monolith è il film di Ivan Silvestrini, che racconta di una madre che lascia il figlio in un nuovo prototipo di auto da cui è impossibile uscire.

Nel cast ci sono Katrina Bowden (già vista in “Hard Sell”, la serie tv “30 Rock” in cui ha recitato per sette stagioni), Damon Dayoub, Brandon Jones e Ashley Madekwe.

L’esordio del film con una presentazione spot dell’innovativo prototipo asciuga la suspense, e i dialoghi informativi portano la trama verso una necessità di chiarezza televisiva. “Ti ho chiamato circa mezz’ora fa”, dice Sandra (Bowden); “È morta la batteria e non avevo il caricatore”, risponde il marito Carl (Damon Dayoub). Pochi sono gli indizi sinistri per un film che dovrebbe virare verso l’horror.

Lilith (con la voce di Katherine Kelly Lang) è il nome della vettura, sembra un oggetto asettico e impenetrabile. La conducente Sandra dà lo smartphone al figlio di due anni seduto nel sedile posteriore, e nel deserto investe un cervo: lei esce dall’abitacolo per controllare l’accaduto, il figlio toccando un’app attiva il “vault mode” sancendo il blocco dell’auto. Così il figlio David resta bloccato in Lilith, che per difenderlo serra le uscite mentre la madre resta fuori. Sandra lascia l’auto nel deserto alla ricerca di aiuto, e da vittima diviene anche colpevole.

La madre rinviene una chiave inglese e cerca di distruggere i vetri di Lilith. Il film diventa quindi anche quello sulla salvezza verso un minore, contro un sistema che ragiona solo per la conservazione di se stesso: Lilith simboleggia anche i pericoli cui ogni bambino viene esposto, ma in generale quelli della società che limita le scelte. E quando Sandra si allontana alla ricerca di un aeroporto e lascia il figlio piangente nell’auto, “Monolith” diviene anche survival movie: lei deve reperire dell’acqua per raffreddare la carrozzeria ora incandescente.

Su tutti svetta l’interpretazione di Katrina Bowden, madre disperata per la difesa del figlio, che con ferocia cerca di distruggere i vetri fino all’estremo gesto. Il film si sposta ora verso l’horror, per quel concetto per cui è la semplice realtà che creiamo ad essere il nostro nemico. Questo aspetto sinistro poteva essere espresso con indizi precedenti, come il fatto che l’auto non abbia un sistema di raffreddamento interno, tanto che poi David rischia di morire per ipertermia. Dettagli che in un film che si svolge in unità di luogo sono essenziali, come “Buried” (2010) ambientato in una bara, “In linea con l’assassino” (“Phone Booth”, 2001) vissuto in una cabina telefonica. Oppure un’ispirazione fondamentale come “Duel" (1972) con l’autocisterna killer.

“Monolith” è un film che nonostante la fissità dell’idea originale, va elogiato per lo sforzo produttivo unico nel cinema italiano, girato nei deserti dello Utah, con una screziata fotografia di Michale Fitzmaurice, effetti visivi limati di Andrea Vincenti, fluida regia di Silvestrini. Ripercorre la tendenza ad ottimizzare le risorse economiche come “Mine” (2016) film ambientato sopra una mina. E la scelta di un cast inglese fa ben sperare verso una distribuzione non solo nazionale.

© Riproduzione riservata




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