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Mostra del Cinema di Venezia 2025, recensione serie tv Portobello

Scopri Portobello, la serie tv fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia

Mostra del Cinema di Venezia 2025, recensione serie tv Portobello

Avere 18 milioni di telespettatori in uno show televisivo, e poi condividere la cella con cinque detenuti. È questa la parabola di Enzo Tortora (Fabrizio Gifuni) che nella serie tv Portobello – di Marco Bellocchio – mostra la sua fermezza di fronte a delle accuse di cui non comprende la ragione.

Nel 1982, proprio durante la trasmissione che consacra Enzo Tortora al successo, il detenuto Giovanni Pandico (Lino Musella) affiliato alla cosca di Raffaele Cutolo (Gianfranco Gallo) confessa che il conduttore è affiliato alla cosca della 'ndrangheta, e riceve mensilmente partite di droga da smistare agli esponenti dello showbiz. In realtà Pandico è infuriato con Tortora perché non rispose alle sue missive inviate dal carcere: desiderava che i suoi "centrini" ricamati in cella fossero venduti durante lo show, e dopo le mancate risposte di Tortora, decide di vendicarsi.

La serie tv – di cui sono state proiettate due puntate – vira spesso verso lo stereotipo mafioso, forse perché essendo una co-produzione internazionale ha esigenza di allinearsi al dipinto mafioso dell'Italia che all'estero alletta. Molte sequenze delle sei puntate si svolgono proprio in carcere, con momenti di discussione tra Cutolo e Pandico, tanto che si ha l'impressione che si stia assistendo a un crime. Poi, però, nella seconda puntata, il focus sul dramma di Tortora torna dettagliato, raccontando un uomo che non comprende cosa stia accadendo. Bellocchio riesce a folgorare con scene icastiche, come i due agenti che entrano nella cella e battono le tazze contro le grate, e il sogno del giudice vestito da pulcinella che danza fuori dalla cella.   

Tortora si delinea come un capro espiatorio, forse colpevole del clamore mediatico del suo show, che – come ogni successo – non è immune da invidie sacrificali.

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