Timbuktu, il film franco-mauritano candidato all'Oscar come miglior film straniero

Cinema / Festival / News - 13 February 2015 15:15

Timbuktu di Abderrahmane Sissako è un film suggestivo e a tratti straniante che unisce in modo talvolta stridente violenza e poesia. L'opera è candidata al premio Oscar come Miglior Film

image
  • CONDIVIDI SU
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon

Timbuktu è un film franco-mauritano scritto e diretto da Abderrahmane Sissako, considerato uno dei maggiori registi del cinema africano contemporaneo. Il suo ultimo lavoro è stato presentato con successo in concorso al 67° festival di Cannes ed è entrato nella cinquina dei titoli candidati al premio Oscar per il Miglior Film Straniero.

Timbuktu trama. Il villaggio di Timbuktu è invaso dall’esercito jihadista, che con le armi impone il divieto di ascoltare e produrre musica, di giocare a calcio, di riunirsi e trattenersi davanti a casa e obbliga le donne a indossare velo e guanti. Alcuni degli abitanti del paese si ribellano, rischiando così di essere puniti o uccisi. Intanto, ai margini del villaggio abita Kidane, un pastore che vive con la moglie Satima e la figlia Toya. Quando una sua mucca viene ammazzata da un pescatore in quanto per abbeverarsi si era avvicinata troppo alle sue reti, tra i due uomini vi sarà una resa dei conti drammatica che coinvolgerà anche il nuovo regime.

Timbuktu recensione. L’ultimo lavoro di Sissako è un film nel quale convivono una messa in scena spesso poetica e uno sviluppo narrativo carico di conflitti e atrocità. Infatti, nell’opera vi sono diversi episodi di soprusi, punizioni corporali, scontri e tentate ribellioni, ma vengono rappresentati in modo sempre delicato dalla regia, che non solo lascia fuori campo le sequenze più cruente o le mostra per poco tempo, ma si avvale anche di scene metaforiche.
Queste rappresentano diverse situazioni, come per esempio la necessità di fuggire (la ragazza che corre nel deserto), la resistenza creativa nel difendere la propria libertà (la partita di calcio giocata senza pallone) e la violenza subita da un popolo (la sparatoria iniziale alle statuine di legno).
Alcune suggestive e profonde, altre troppo semplici ed esplicite, le varie allegorie risultano indubbiamente un mezzo per affrontare in modo tenue e palesemente “artistico” problematiche dolorose e angoscianti, ma sono anche un modo per universalizzare il soggetto narrativo di partenza. Timbuktu non è solo un film sull’oppressione jihadista, ma è anche un lavoro sulla violenza intrinseca nell’essere umano, mostrato allo stesso tempo in tutta la sua complessità e in tutti i suoi aspetti, come dimostra la rappresentazione non stereotipata degli invasori.
Alla poesia della messa in scena contribuiscono anche alcuni campi lunghi sui maestosi e affascinanti paesaggi in cui è ambientata la vicenda. Grazie anche a un’ottima fotografia, tali immagini risultano bellissime e suggestive, e stridono volutamente con le atrocità mostrate e raccontate, creando così un effetto straniante che da un lato sottolinea le violenze narrate, mentre dall’altro indica la convivenza inevitabile e intrinseca nell’uomo (e forse nelle sue società) tra bellezza e ferocia, affetto e brutalità.

Timbuktu cast. Timbuktu è un film complessivamente corale e quindi con diversi interpreti, tra i quali spiccano Ibrahim Ahmed (Kidane), la moglie Toulou Kiki (Satima) e Hichem Yacoubi (uno jihadista). 

© Riproduzione riservata




Seguici su

  • icon
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon