Sebastiao Salgado, Dalla mia terra alla terra: Genesis, l'urgenza dell'impegno per un futuro possibile

Comics / News - 03 February 2014 14:00

"Dalla mia terra alla terra" (Contrasto) di Sebastião Salgado: Fabio Fazio ospita il celebre fotografo brasiliano nello studio di "Che tempo che fa" durante la puntata di sa

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Dalla mia terra alla terra di Sebastião Salgado - Edito da Contrasto, il volume fa parte del progetto Genesis - otto anni e trentadue reportage a salvaguardia del rapporto tra l'uomo e l'ambiente - ed è appena uscito in libreria. Salgado, fotografo tra i più significativi del nostro tempo, considera la fotografia “una forma di vita”. Riguarda chi fa lo scatto: il suo passato, la sua filosofia di vita, la sua etica.
Il quarto di copertina di "Dalla mia terra alla terra" è l'immagine di una zampa di iguana che rappresenta una "prima volta" come rivela l'autore: ”In effetti, quando io ho iniziato questo progetto, era la prima volta che mi capitava di fotografare gli animali. Fino a quel momento nel corso di tutta la mia vita, avevo fotografato solo un animale, cioè noi, gli uomini. Quindi dovevo fotografare anche gli altri. Arrivo alle Galȧpagos, di fronte a questa iguana, e mi sono detto è un animale completamente diverso da me, molto più vicino a un dinosauro rispetto alla prossimità che ha con un essere umano. Allora mi sono dato un po' di tempo, ho guardato il particolare di questo zampa e mi sono reso conto che invece c'era un'approssimazione assolutamente enorme rispetto alla mia mano o comunque la mano di un guerriero del medioevo con la sua cotta di ferro. Ebbene, noi siamo partiti dalla stessa cellula primigenia. C'è stata una certa evoluzione diversa, in un modo o nell'altro. Ma se ritorniamo indietro, alla fine abbiamo tutti la stessa origine. La condividiamo”.

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L'Africa nel cuore - Con una formazione di economista, Salgado decide di dedicarsi alla fotografia negli anni 70. Gira il mondo che cattura con l'obbiettivo, con una predilezione per l'Africa. Spiega che, essendo brasiliano, non potrebbe che essere così: un tempo remoto, l'Antartide, l'America latina e l'Africa erano parte di uno stesso continente. Se oggi osserviamo un atlante, riusciamo idealmente a fare combaciare i confini di queste terre. Il settecento ha portato un considerevole numero di schiavi nel Brasile che hanno lasciato la propria identità nella cultura e nella composizione della popolazione brasiliana: “Quindi l'Africa ce l'ho proprio nel cuore e ho sempre voluto lavorare in Africa. In questo progetto, Genesis, mi sono reso conto di aver fatto dei reportage africani che sono collegati alla storia del nostro pianeta. Nel senso che il 46% del nostro pianeta è rimasto così ed è in gran parte in Africa”.

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Il genocidio in Ruanda - Salgado viaggia nel tempo, agli albori della civiltà. Incontra molte popolazioni indigene, come quella degli Zo'è. Conoscendoli, apprende una cosa fondamentale, le nostre necessità sono le loro e viceversa: “La cosa principale, che io ho imparato nel corso di tutti i miei viaggi, è che ci sono dei rapporti nell'ambito della nostra specie, fra gli esseri umani. E che noi siamo molto più fragili di quanto non immaginiamo. Pensavo di imparare tutta una serie di cose nuove e, invece, alla fine ho scoperto che tutto ciò che è essenziale per un gruppo etnico come gli Zo'è, che vivono come noi vivevamo, che ne so, ventimila o cinquantamila anni fa, è ancora l'essenziale per tutti noi: i rapporti di amore, i rapporti di idea di comunità, di solidarietà. Quindi, avrei tranquillamente potuto vivere in un gruppo etnico come quello senza alcun problema, senza alcuno fardello. Eppure, io venivo da una civiltà che è cinquantamila anni distante dalla loro. Comunque ho scoperto che anche dal punto di vista tecnologico, più o meno, hanno imparato le stesse cose: hanno gli antibiotici, gli antinfiammatori”.
Tra le straordinarie fotografie contenute nel libro, c'è quella scattata ai rifugiati del Ruanda che segna un cambiamento nella vita di Salgado. Il fotografo ricorda la repressione e il genocidio: la fotografia mostra uno dei primi campi profughi. In meno di una settimana vi sono giunte oltre un milione di persone. La popolazione fugge verso la Tanzania. Salgado comincia a stare male a causa della brutalità e della violenza di cui è stato testimone in Ruanda.
Al ritorno in Brasile, insieme alla moglie Lélia Wanick, decide di abbandonare la fotografia e dedicarsi alla ricostruzione della fattoria di famiglia: oltre la metà di foresta è andata distrutta, ma ai tempi della sua infanzia è costituita dalla foresta tropicale circostante per più del 50%.
Salgado inizia a riforestare piantando due milioni e duecentomila alberi. Un miracolo possibile.

 

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