Orange Is The New Black 4, l'elogio della critica per gli attori e i temi della serie tv

Tv / Drama / News - 24 September 2016 09:00

Giunta ormai alla quarta stagione, la serie tv targata Netflix riesce ancora a far parlare di sé per il modo in cui riesce a raccontare, attraverso il microcosmo della prigione di Litchfield, l

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Sono molti i messaggi che “Orange Is The New Black”, serie tv simbolo di Netflix insieme ad “House of Cards”, vuole comunicare: le storie delle detenute di Litchfield ci dicono che, per quanto brava, una persona può ritrovarsi vittima di cose orribili, e che il mondo è un posto crudele, pieno di gente pronta ad abusare del prossimo. Ma la quarta stagione, pubblicata sulla piattaforma di streaming la scorsa estate, ha voluto approfondire un tema ancora più complesso e pessimistico: e cioè che quando una persona viene sbattuta dentro un sistema (in questo caso quello carcerario), non ha più importanza se, nel mondo "esterno", fosse stata buona e cattiva. A prescindere dalle sue responsabilità, quella persona è destinata a diventare un minuscolo ingranaggio dentro una macchina spietata che divorerà ogni briciolo della sua umanità.

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Fin dal primissimo episodio (la prima stagione di “Orange Is The New Black” risale al 2013) è stato questo il vero sottotesto dello show ideato da Jenij Kohan. Per quanto diverse tra loro, le storie delle varie detenute sono riconducibili a un’unica grande riflessione: quella sull’abilità della prigione di calpestare il carattere individuale, di ridurre le persone a mostri, animali (“The animals, the animals/ Trapped trapped trapped ‘till the cage is full”, canta Regina Spektor nella canzone “You’ve got time” che è anche la sigla d'apertura della serie tv), corpi da spremere fino all’ultima goccia.

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Da questo punto di vista, la quarta stagione è stata sicuramente la più brutale e la più schietta. Il sottotesto si è fatto testo, e la critica sociale non è mai stata così esplicita. La morte di Poussey (Samira Wiley), ovvero di uno dei personaggi più positivi ed amati della serie tv, sarebbe già di per sé un momento durissimo, ma quando lo si inserisce nel contesto del movimento civile dei “Black Lives Matter” e delle migliaia di afro-americani uccisi ogni giorno in America dalla polizia, acquista il peso di un macigno.

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Tutte le recensioni pubblicate finora sulla quarta stagione di “Orange Is The New Black” sembrano concordare su un punto: dopo una terza stagione con cui lo show sembrava a rischio di perdere la sua centralità nel florido panorama televisivo attuale, la serie è riuscita a restare a galla e a spingersi ancora più in là con le sue tematiche, il che fa ben sperare per le future tre stagioni che Netflix ha già commissionato.

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Uno degli inossidabili punti di forza di “Orange Is the New Black” resta l’ampio e solido cast, un caleidoscopio di personalità, sentimenti e psicologie che offrono sempre spunti nuovi da approfondire. Piper (Taylor Schilling), Alex (Laura Prepon), “Red” (Kate Mulgrew), Suzanne “Occhi pazzi” (Uzo Aduba) e tutte le altre detenute sono la vera forza vitale dello show. Uno show che mescola dramma e commedia e che, nella sua orgogliosa femminilità, riesce comunque ad essere universale.

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