Grey's Anatomy 13, la formula del medical drama tra le garanzie della longevità della serie tv
Il dramma ad ambientazione ospedaliera è uno dei generi più longevi e fertili della tv, e Grey's Anatomy, con le sue dodici stagioni all'attivo e la tredicesima alle porte, ne è u

“Grey’s Anatomy” sta per tornare sul piccolo schermo: a partire dal prossimo 22 settembre, l’emittente ABC trasmetterà gli episodi dell’attesa tredicesima stagione. Sembra incredibile che la serie tv continui ad avere così tanto successo a ben 13 anni di distanza dal suo debutto, e nonostante la morte di tanti personaggi chiave, su tutti il fascinoso Derek Shepherd interpretato da Patrick Dempsey, uscito di scena nell’undicesima stagione.
\r\nQuel che è certo è che quando, eventualmente, Shonda Rhimes deciderà di mettere in soffitta “Grey’s Anatomy”, non dovremo aspettare molto per avere un altro medical drama che lo rimpiazzi. Fin dai tempi de “Il dottor Kildare”, andato in onda in America dal ‘61 al ‘66, sono innumerevoli i telefilm campioni d’ascolti ambientati in un ambiente d’ospedale, o comunque medico.
\r\nNon è difficile individuare almeno uno dei motivi di questo successo. I medici hanno a che fare ogni giorno con adrenaliniche situazioni di vita o di morte, e questo rende le loro storie intrinsecamente drammatiche, ovvero perfette per suscitare pathos e coinvolgere gli spettatori. E, in un certo senso, i medical drama sono anche più realistici di altri generi: mentre alla lunga può risultare assurdo che sempre lo stesso ispettore debba risolvere gli omicidi più efferati, l’ospedale è per sua stessa natura un luogo dove si vive quotidianamente nell’emergenza.
\r\nLa convivenza forzata e continua con la morte è probabilmente un altro elemento che rende le serie tv di questo genere così affascinanti. Spesso i personaggi (sia quelli regolari che le guest star) non sopravvivono, ma i finali tristi non sembrano scoraggiare gli spettatori dal continuare a seguire la storia, anzi. Tutti siamo spaventati all’idea di ammalarci e morire, ma vedere dei personaggi fittizi affrontare queste esperienze funge da vera e propria catarsi: attraverso il filtro protettivo dello schermo, possiamo elaborare queste tragedie in modo indiretto, e quindi sicuro, confortante. La morte di personaggi anche importanti (come quella del dottor Shepherd in “Grey’s Anatomy”) rende queste serie tv ancora più realistiche e appassionanti.
\r\nIl medical drama tuttavia, se fatto bene, riesce sempre a bilanciare le storie più drammatiche con dei momenti di commedia, in cui si ride in faccia alla morte e si ritrova la propria umanità (un’ottima serie tv che ha fatto di questa dicotomia un suo cavallo di battaglia è “Scrubs”). Un altro ingrediente fondamentale è il protagonista, che dev’essere forte e al tempo stesso fragile, una persona che spesso rischia di lasciarsi sopraffare dalle difficoltà, dai sentimenti, ma che alla fine riesce sempre a fare la cosa giusta. “Scrubs” aveva J.D., “House” aveva, appunto, Gregory House, e in “Grey’s Anatomy” c’è lei, Meredith (Ellen Pompeo). In effetti il modo in cui il medical drama si concentra sul dramma personale e sulle relazioni, spesso a scapito dell’accuratezza scientifica e della verosimiglianza, lo avvicina molto alla soap opera.
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