Mostra del Cinema di Venezia 2025, recensione film Frankenstein
Scopri Frankenstein, il film in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia
Se la vicenda di Frankenstein è abusata al cinema, non lo è quella del suo creatore, che il regista Guillermo del Toro ricalibra in base alle esigenze del pubblico giovane. Così si presenta il film del regista messicano, intriso di nostalgia verso l'opera originale di Mary Shelley del 1816, e dell'esigenza di rinnovarla per adattarsi agli effetti speciali in CGI.
All'inizio il mostro Frankenstein (Jacob Elordi) arremba una nave incagliata tra i ghiacci, uccide dei marinai scaraventandoli metri lontano come fosse un eroe dei fumetti, riceve colpi di fucile, ma le ferite sembrano rimarginarsi. Pronuncia solo una parola, "Victor": è il suo creatore, Victor Frankenstein - un carismatico Oscar Isaac - inseguito per chissà quale dissidio da risolvere. La storia procede poi a ritroso, e questo è l'aspetto più fastidioso del film, perché ne rallenta la verve. Si racconta l'ambizione di Victor di riportare in vita chi è defunto, per poi indietreggiare ancora nella sua infanzia, con il padre medico e la madre forse uccisa per mano del consorte.
Se la deformazione del
corpo, raccontata nelle varie sfaccettature – come ne La forma dell'acqua
– è un'ossessione per il regista, lo è ancora di più quando trova materiale
fertile per restituirle forma. Tra sventramenti di cadaveri, assemblamenti di
cuori e arti, sangue gocciolante, pare spesso di essere nell'antro di una
macelleria: un gusto dell'orrido che strizza l'occhio alla piattaforma cui il
film è destinato. Solo alla fine la storia trova una sua compostezza, quando la
vicenda è raccontata dal punto di vista del mostro, che ora brama una donna per
sé. Ora che Frankenstein riesce a perdonare il creatore per averlo assemblato,
si comprende il senso dell'operazione di Del Toro: ricostruire la storia
originale veicolando quello che era sotteso, l'amore conflittuale di un figlio
verso il padre.
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