Stonewall: recensione del film, battaglia sulla necessità della libertà di amare

Cinema / Recensione - 05 May 2016 08:00

Roland Emmerich dirige Jeremy Irvine e Jonny Beauchamp, insieme a Jonathan Rhys-Meyers, soffermandosi sulla potenza della vicenda che vede protagonista il singolo individuo, proiettando quel desiderio

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Stonewall è un film, diretto da Roland Emmerich, costruito intorno ad una trama che, soffermandosi sulle vicende del singolo, immortala le discriminazioni di cui è vittima un’intera comunità, quella identificata con l’acronimo LGBTQ.

Danny (Jeremy Irvine), un giovane e attraente ragazzo, vive insieme ai suoi genitori e all’amata sorella. Sin da quando era ancora un bambino Danny si è accorto della sua “diversità”, che lo ha condotto a provare dei sentimenti verso ragazzi del suo stesso sesso, tra tutti è stato da sempre innamorato di Joe. Divenuti giovani uomini, i due ragazzi hanno continuato a portare avanti la loro relazione clandestinamente ma quando il loro segreto è stato scoperto, Danny è stato costretto ad allontanarsi da casa, finendo con l’approdare a New York, nei pressi del locale Stonewall Inn. Qui farà la conoscenza di eccentrici amici, tra i tanti il fedele Ray (Jonny Beauchamp), amori labili, come quello che gli porgerà Trevor (Jonathan Rhys-Meyers), e loschi individui, finendo con combattere un’unica battaglia, quella per l’affermazione dei diritti delle persone omosessuali.

Roland Emmerich si disse convinto a girare un film sui disordini di Stonewall avvenuti nel 1969 dopo essere stato al Los Angeles Gay & Lesbian Center. Dopo essersi informato riguardo i moti che videro protagonisti omosessuali desiderosi di ottenere giustizia e diritti, in qualità di esseri umani pensanti ed amanti, il regista avviò il progetto per un lungometraggio che potesse trarre spunto dalle vicende realmente accadute, basate su sommosse legate ad episodi violenti ma, concentrandosi sull’intima storia di un singolo giovane uomo, per tracciare così le basi di un racconto che potesse sfociare nell’affermazione dell’universalità dell’amore e della libertà di amare, proponendo Stonewall, un prodotto filmico richiamante alla mente il musical Hair, diretto da Milos Forman, non per il genere di appartenenza (quest’ultimo è un celebre musical, Stonewall rappresenta un film drammatico), ma per i colori, la presentazione dei personaggi e la centralità della libertà che regna sovrana.

Jeremy Irvine, interpretante il protagonista Danny, offre una performance di buon livello per un ruolo che richiede l’acuta sensibilità di un ragazzo il quale non accetta di rinnegare quello che è per compiacere un padre non comprensivo ed una madre che non sa offrigli il sostegno di cui necessiterebbe, ma diviene pioniere della battaglia per i diritti dei gay per non essere considerati criminali e poter essere integrati a pieno nella società senza dover nascondere la propria natura. Ma è Jonny Beauchamp a fornire una prova attoriale degna di nota: interpretando Ray, un ragazzo effemminato cresciuto per strada, appartenente a nessun luogo e a nessuna famiglia, l’attore incarna il dolore sotto la maschera della prostituzione. Sul suo corpo scheletrico, mostrato in più di una sequenza come capro espiatorio delle discriminazioni a cui erano, e troppo spesso sono soggetti gli “appartenenti alla sua razza”, vengono impressi i segni di violenze subite, per una scena in particolare in cui Ray confida le pene all’amico Danny, trovando conforto in uno dei sentimenti più puri e caritatevoli accanto all’amore, l’amicizia.

Roland Emmerich decide, dunque, di incasellare flashback nei quali si scopre il passato del protagonista e le vicende subite che lo hanno condotto nel grembo di Stonewall Inn all’interno del presente filmico, rappresentato dall’arrivo di Danny nella variopinta New York LGBTQ, scelta registica che permette allo spettatore di assistere gradualmente allo svelamento dell’omosessualità preannunciata del protagonista, immedesimandosi nel dolore del singolo, per comprendere quello di un’intera comunità, che ha sofferto e continua a soffrire in tutti quei Paesi, 77, dove ancora gli omosessuali sono additati come criminali, affermando così la necessità della libertà di amare, senza restrizioni o differenziazioni di sesso.

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