Il Trono di Spade, le tinte thriller della serie tv targata HBO

Tv / Drama / News - 07 September 2016 09:00

È difficile spiegare fino in fondo il successo planetario dello show tratto dalla saga letteraria di George R.R. Martin. Tra i vari motivi, c'è di sicuro l'abilità degli autori di

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Al di là delle divergenze, tutte le analisi de “Il Trono di Spade” concordano almeno su una cosa: uno dei più grandi punti di forza di questa saga è il sovvertimento delle aspettative, sia narrative che stilistiche. È una serie tv fantasy ma, soprattutto nelle prime stagioni, gli elementi fantastici vengono elargiti con molta parsimonia dagli autori. La magia è un’arte quasi del tutto dimenticata, i tre draghi di Daenerys e gli Erranti sono le uniche creature propriamente fantasy di tutto il telefilm, e non c’è traccia di elfi, nani o goblin.


L’intento di George R.R. Martin era proprio questo: prendere il modello di fantasy brevettato da Tolkien con “Il Signore degli Anelli” e sovvertirlo, rovesciarlo, trasferirlo in un mondo molto più simile al Medioevo che alla Terra di Mezzo. L’adattamento televisivo ha colto il suo intento, ed è diventato un calderone in cui si mescolano generi ed espedienti narrativi.

“Il Trono di Spade” si svolge in un mondo minacciato da un’orda di zombie; ha elementi soprannaturali, come la magia e la preveggenza; ci sono il dramma familiare, l’introspezione psicologica, siparietti comici, e in un episodio della sesta stagione abbiamo perfino assistito al viaggio nel tempo. La serie tv inoltre utilizza spesso escamotage tipici del thriller per assicurarsi che gli spettatori restino incollati alla poltrona, paralizzati dall'ansia di sapere cosa sta per succedere.

Il thriller è un genere che per definizione stimola l'emotività del fruitore dell'opera d'arte, generando, tramite l'anticipazione, sentimenti contrastanti; nell'animo del lettore o dello spettatore convivono aspettativa, sorpresa, incertezza e terrore. La suspense è una delle armi principali de “Il Trono di Spade”: i registi degli episodi utilizzano spesso bruschi tagli per interrompere la scena e lasciare il pubblico col fiato sospeso o, al contrario, ricorrono a montaggi molto lenti (accompagnati da un’incalzante colonna sonora) per rendere ancora più spasmodica l’attesa per l’ennesimo colpo di scena.

Un ottimo esempio è la morte di Jon Snow, che chiude il finale della quinta stagione. La cinepresa riprende il personaggio, solo ed esangue sulla neve, utilizzando la cosiddetta “plongeé” (“God’s Eye view”, il “punto di vista di Dio”, in inglese), ovvero un’inquadratura dall’alto, quasi a filo di piombo, mentre in sottofondo la musica continua a crescere, finché lo schermo si rabbuia e partono i titoli di coda. È un momento che vale più di mille parole, e che ha alimentato le speculazioni dei fan per un anno intero.

Far morire in modo scioccante un personaggio cruciale è un espediente noto al thriller sin dai tempi di “Psycho” e, dopo sei stagioni, i fan de “Il Trono di Spade” ci hanno fatto l’abitudine. C’è chi avrà pensato subito alle terribili “Nozze Rosse”, ma l’esempio più calzante è forse la decapitazione di Ned Stark nel nono episodio della prima stagione. La morte di un personaggio così nobile e positivo massacra le aspettative degli spettatori e li catapulta in un mondo che di fantastico ha ben poco. Westeros è un continente dominato da un senso di catastrofe imminente; con la morte di Ned il pubblico si rende conto che il bene, stavolta, potrebbe anche non trionfare.

Tutto ciò si riallaccia alla definizione di thriller fornita dall’autore giallo James Patterson: “[…] Ma ciò che dà la varietà al genere del thriller è l'intensità delle emozioni che esso crea, in particolare l'apprensione e l'euforia, l'eccitazione e la mancanza di respiro, tutte progettate per generare quel brivido che è la cosa più importante di tutte. Per definizione, se un thriller non emoziona, non sta facendo il suo lavoro”.

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