Graham Greene, Il potere e la gloria: il prete dell'acquavite, martire della fede
Classici - Nel 1938 Graham Greene riceve un anticipo per un nuovo libro sulla persecuzione religiosa in Mexico: le misure repressive contro la Chiesa sono state in gran parte revocate, ad eccezione de

Graham Greene giunge a Veracruz in treno. Da qui, sale su un'imbarcazione di fortuna per raggiungere il porto di Frontera e, quindi, via fiume Villahermosa. Dalla capitale del Tabasco, attraversa le montagne a dorso di mulo fino a Las Casas, nel cuore del Chapas, dove ci sono ancora chiese aperte, nonostante rimanga proibito l'accesso ai sacerdoti: è la via di fuga che intraprende anche il prete spugna, protagonista del “Potere e la Gloria”.
Scrive Green nell'autobiografia “Vie di scampo” (1980): «Fui ancora meno felice in quella città di quanto non lo fossi stato a Villahermosa: il posto era pieno di tracotanti pistoleri - uno qualunque dei quali sarebbe potuto servire da modello per il mio capo della polizia - ed era impossibile mettersi a sedere nella plaza, la sera, senza essere insultati, o ordinare da bere in una cantina senza sentirsi opporre un rifiuto, poiché nel frattempo le relazioni diplomatiche con l'Inghilterra erano state rotte.»
Il viaggio cambia radicalmente la fede dello scrittore. Non si sente particolarmente legato al cattolicesimo. Tuttavia, durante la permanenza nel Messico, scopre la compassione per i perseguitati che lo congiunge emotivamente alla fede cattolica.
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Dunque, un viaggio difficile costellato da insofferenze e disagi di ogni natura che affronta con uno stato di animo di profonda afflizione, riversata nei personaggi del romanzo. Una memorabile galleria di casi umani che Greene ha incontrato lungo il suo cammino o di cui ha sentito raccontare: a Villahermosa, per esempio, si narra la storia dell'ultimo prete rimasto a Tabasco che battezza un bambino con un nome femminile «perchè era così ubriaco da non riuscire quasi a stare in piedi, figuriamoci poi a ricordare un nome. Dopo era scomparso tra le montagne ai confini con il Chiapas – forse era stato ucciso, forse era riuscito a fuggire e a trovare delle condizioni di vita meno dure.» (introduzione alla Collected Edition, 1971).
Accanto a padre José - salvo per aver rinnegato la fede - ci sono anche il dentista (Mr Tench), la coppia di luterani (i Lehr), il capo della polizia di Villahermosa, il meticcio. E naturalmente il prete dell'acquavite e il tenente.
Il tenente di polizia è figlio di un peone. Laico, puro e incorruttibile. Mòsso da sete di giustizia, intenzionato a liberare il popolo dalla Chiesa in nome della giustizia sociale. A riscattare i poveri in terra, e non nell'aldilà.
Il prete non ha nome, le debolezze dell'uomo nulla tolgono all'uomo di Dio. Nel passato può aver abbracciato il sacerdozio attratto dai privilegi della tonaca. Da fuggitivo non ha mai negato una confessione o una messa. C'è una taglia sulla sua testa. Eppure i contadini si lasceranno arrestare per non tradirlo. Finito in prigione, è un peccatore tra i peccatori.
Come il tenente, anche il prete sta dalla parte degli indigenti. È custode della loro salvezza spirituale perchè la rivoluzione non ha portato cambiamenti sociali a loro favore: «Quello che fate per realizzare il vostro scopo, non serve a niente se voi personalmente non siete uomini buoni. E non ci saranno sempre uomini buoni nel vostro partito e allora vi ritorverete con la solita fame e violenza e voglia di arricchirsi a ogni costo. Invece, il fatto che io sia un vigliacco... e tutto il resto, non ha molta importanza. Io posso ugualmente deporre Dio nella bocca di una persona e posso darle il perdono di Dio. E questo verrebbe anche se ogni prete della Chiesa fosse come me.»
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La chiesa cattolica minaccia di vietare il romanzo perchè contiene implicazioni teologiche non ortodosse. Greene simpatizza con i cattolici ai margini della Chiesa: la misericordia di Dio - ribadisce - non si può rappresentare solo attraverso i virtuosi, è facile essere misericordiosi con i virtuosi, ma è attraverso i preti ubriaconi che si vede all'opera la misericordia.
In “Vie di scampo” ricorda l'epilogo della vicenda: «Non vi fu alcuna pubblica condanna e la cosa venne lasciata cadere in quel sereno oblio che la Chiesa saggiamente riserva alle questioni prive di importanza. Anni dopo, quando mi venne concessa un'udienza da papa Paolo VI, egli accennò al fatto che aveva letto il romanzo. Gli raccontai che era stato condannato dal Sant'Uffizio.
“Chi lo condannò?”
“Il cardinale Pissardo.”
Il Papa ripetè il nome con un sorriso ironico e aggiunse:
“Signor Greene, certe parti del suo romanzo possono offendere alcuni cattolici, ma lei non dovrebbe attribuire alcuna importanza a questo.”»
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