Le Mamme Sono Buone?

Daily / News - 01 November 2008 12:11

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Marcella, trentenne, ha un solo figlio di 19 mesi, Guido. Tutto sembra scorrere in modo regolare nella vita della donna: il matrimonio,  la gravidanza...  e non fosse per il senso di turbamento che l'accompagna sin dal momento in cui ha saputo di aspettare il bambino.

Ciò che la rende perplessa e poco serena è dovuto al suo scarso desiderio di diventare madre, non prova quello stato di eccitamento e gioia che, secondo il pensiero comune, dovrebbero sentire  le mamme in stato interessante. Questo stato d'animo è dovuto più che alla mancanza d'affetto verso il bambino che porta in grembo, alla sfiducia nelle sue possibilità di essere una buona madre. Non è certa di avere le capacità di prendersi cura del piccolo e, soprattutto, non  è sicura di volersi occupare di lui. La gravidanza non è stata poi un periodo idilliaco: nausea e vomito l'accompagnano fino agli ultimi mesi. Guido nasce, e per Marcella incomincia una nuova vita e nuove responsabilità che una buona moglie ed una brava mamma si deve assumere.

Ma la vita di Marcella sta prendendo una piega del tutto diversa da quella che si era immaginata. Le  sue giornate sono scandite da monotoni momenti che vanno dal cucinare al pulire la casa, prendersi cura del marito e soprattutto del piccolo. E le promesse che le aveva fatto Carlo su una vita in due in cui ci si sarebbero divisi i lavori e doveri, che fine avevano fatto? La realtà è ben diversa: a lei ricadono tutte le incombenze della casa e la cura del bambino.

Con Guido poi le cose vanno ancora peggio. Non riesce a comunicare con lui. Sin dalla prima volta in cui lo prese in braccio avverte subito un senso di impaccio e perplessità: come può prendersi cura di un essere così piccolo? Lei non si sente appagata, più cresce in lei il disagio come madre, più aumenta il senso di colpa per non provare verso il piccolo quel trasporto emotivo considerato innato in una madre. Non sa spiegarsi come mai, ma prendersi cura del bambino non è per lei un'attività piacevole, le procura fatica, ansia e inquietudine.

Guido non dorme mai e non sta un attimo fermo, vuole essere continuamente preso in braccio e coccolato. Se solo per un attimo la lasciasse in pace!

Marcella comincia a pensare che suo figlio forse non è normale. Com'è che il bambino della sua amica, più o meno coetaneo di Guido, non è così iperattivo, e soprattutto non piange così tanto come suo figlio. Così Marcella, presa dal dubbio dell'anormalità di Guido, inizia a portarlo sempre più spesso dal pediatra. Il dottore la rassicura: il bimbo è sano, forse un po' vivace e più irrequieto dei suoi coetanei, ma nulla più. Le affermazioni dei familiari, del marito e le rassicurazioni del medico di famiglia circa la salute del bimbo non bastano. Marcella oramai non nutre più solo un sospetto, ma ha la certezza che suo figlio non sia normale.

Marcella è arrivata a pensare che forse il bambino vuole metterla alla prova, vuole verificare fino a che punto i suoi nervi resistono fino a che non impazzisce. Probabilmente è colpa sua se Guido è così, è la giusta punizione per non averlo desiderato e per la sua inettitudine di madre.

Da un po' di giorni poi non ha più la mente nitida e ha le idee sconnesse, ma l'unica certezza che ha e quella di non sopportare più la vista di quel bambino.

Martedì mattina la donna si sveglia con un pensiero confuso, che coscientemente non vuole chiarire perché ritenuto indegno dalla sua morale. Esso continua a pulsare incessantemente e sempre più forte in quella parte del cervello priva di inibizioni e che fa compiere atti spregiudicati.

Così, quando il marito è già uscito per recarsi al lavoro, Marcella va nella stanza di Guido. Si avvicina a passi leggeri verso la culla, sta attenta non svegliarlo, lui ha il sonno leggero. Lo guarda mentre dorme beato, ignaro del pensiero che oramai si è impossessato della mente di sua madre. Lei lo osserva, pensa che sì, quello che sta per fare non è di certo un'azione degna di una buona mamma, ma lei quel bambino non lo vuole, le è stato "donato" per sbaglio e lei non ha saputo prendersene cura. Non ce la farebbe a passare un'altra giornata con Guido, figurarsi tutta la vita.

Smette di pensare. Marcella allunga le mani verso il collo del bambino e le appoggia sulla gola delicatamente. Aspetta un ‘attimo, chiude gli occhi come per prendere coraggio e la pressione sul collo del bambino si fa sempre più forte. Non ha un attimo di esitazione, bisogna fare in fretta e senza ripensamenti. Il bambino apre gli occhi e guarda la mamma, vorrebbe urlare ma il suono gli muore in gola. Anche lei riapre gli occhi e vede che il volto di Guido si fa sempre più nero, le sembra che la sua espressione assuma un'aria interrogativa, come volesse chiederle perché gli sta stingendo il collo così forte. La madre continua a stringere, le diventano rosse le guance e gli occhi che non si distolgono per un attimo dal volto del bimbo si sgranano. Poi tutto finisce. Il bambino non respira più. Tutto sarà durato cinque minuti.

La donna toglie lentamente le mani dal collo di Guido, e subito la invade un senso di sollievo. Non sentirà mai più il pianto tanto odiato del bambino, non si dovrà più curare di lui. E' finalmente libera. Guarda il bambino, che è rimasto ad occhi aperti fissi nel vuoto. Le sembra che non sia mai esistito, forse è la prima volta che lo  guarda così intensamente e fa caso ad alcuni piccoli dettagli, come il neo sul naso, le lunghe ciglia. Non prova dispiacere per la sua morte. Sicuramente è meglio così anche per lui, chissà come sarebbe cresciuto con una madre come lei, incapace di dargli amore. Lo solleva dalla culla, lo lava e lo veste con cura. Non sopporta che suo figlio sia sporco e poco presentabile. Lo adagia sul lettone e si siede vicino a lui.

Ora la paura e l'angoscia la colgono di sorpresa,  come un'onda improvvisa che la travolge e le toglie il respiro. E adesso che fare? Non sa come comportarsi, non aveva pensato al "dopo". Quel pensiero indecente che ha avuto qualche ora prima le aveva suggerito cosa fare per guarire definitivamente dal suo male, ma non cosa fare poi.

Deve confessare quello che ha fatto. Incomincia a torturarsi nervosamente le dita delle mani, non rendendosi conto che sono le stesse mani che hanno ucciso suo figlio.  

Non ce l'avrebbe fatta ad affrontare da sola suo marito, il suo sguardo e subire tutti i suoi rimproveri. Lui non avrebbe capito. Non ha mai capito niente. Si veste velocemente ed esce di casa, lasciando il bambino morto sul letto.

Riferisce al poliziotto di guardia di voler parlare con il brigadiere. La riceve. "Ho ucciso poco fa mio figlio, ora è a casa, nel lettone".

Marcella, rinchiusa dapprima in carcere, verrà trasferita, per evidenti manifestazioni depressive alternate a periodi di agitazione ed eccitamento, alla sezione giudiziaria de Manicomio Criminale e, di là, su richiesta dei periti, all'Ospedale Psichiatrico.

Cosa si è "inceppato" nella mente di questa madre definita da tutti come amorevole e attenta, da farle commettere un atto così efferato? Secondo le aspettative sociali, la madre dovrebbe vivere la nascita di un figlio con sentimenti positivi, immerse in uno stato di totale benessere e realizzazione, già provviste di un bagaglio di competenze materne, come se con il parto nascesse anche la capacità di prendersi cura del piccolo.

Ma l'istinto materno non esiste. Gli animali ne sono provvisti, infatti al momento del parto non provano nessuna difficoltà o disagio nel prendersi cura del piccolo, lo fanno in modo istintivo. Ma la mente umana è diversa. L'amore materno è un processo in formazione bisognoso di cure come la maternità fisica.

La neo mamma può sentirsi inetta, può provare difficoltà e incompetenza nello svolgere questo nuovo ruolo. Può non "sentirsi madre" e non manifestare nessun legame d'amore verso questo figlio che richiede continuamente cure e attenzioni e non  considerarlo come "un dono mandato dal cielo" come invece, pieno di entusiasmo, fa il papà. Ma deve tacere il suo dolore. Ammettere la sua incapacità come madre significherebbe mancare all'"imperativo morale materno", rischiare il giudizio della società.

Se il dolore della donna rimane inavvertito o preso alla leggera è probabile che la depressione prenda il sopravvento, andando ad invadere e a contaminare i pensieri della donna, i suoi gesti, le sue emozioni che adotteranno un solo linguaggio per manifestarsi: quello della violenza verso colui che ha provocato la "malattia", l'ormai non più sacro bambino.

 

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