The Call, il cortometraggio di due registi italiani In terra americana: l'intervista

Cinema / Intervista - 07 November 2010 15:06

Un cortometraggio, The Call, presentato a Roma nell'ambito della Rassegna Be Bop e prodotto dalla Wrong Way Pictures promette faville.

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Un cortometraggio, The Call, presentato a Roma nell'ambito della Rassegna Be Bop e prodotto dalla Wrong Way Pictures promette faville.

Prendete due ragazzi dinamici e talentuosi metteteli insieme e portateli a New York. Questi ingredienti, se mescolati bene, possono assicurare risultati interessanti nell'ambito dei cortometraggi e del cinema indipendente. Un genere, questo, che spesso, e soprattutto in Italia, fatica un pò ad emergere sia in tempi odierni di tagli, che in  altri, meno sospetti, dove già monopolii e favoritismi si imponevano.

Il 21 ottobre presso la Sala Cinema del Brancaleone in Via Levanna a  Roma, nell'ambito della Rassegna Be Pop curata da Radio Popolare Roma, in occasione della presentazione ufficiale di Heavy Brass, della banda romana di drum & buss, i Pink Puffers, è stato presentato The Call, un cortometraggio diretto da Francesco "Frank Jerky" Carnesecchi e Vittorio Guidotti, colonna sonora proprio dei Pink Puffers.

Il corto è stato girato a New York città dove Francesco, ormai Frank, vive e lavora e dove Vittorio lo raggiunge spesso per collaborare e ideare progetti. Entrambi originari di Roma e amici sin dagli studi di cinema. Due strade, come raccontano entrambi a Mauxa, nonostante alcune direzioni diverse, che non si sono mai realmente divise e  dove il progetto The Call ha viaggiato fino a giungere in cantiere.

Il corto ha un'unica protagonista, la bellissima Janelle Stein che in un delirante monologo consumato al telefono danza e si muove sinuosa in un piccolo appartamento newyorkese, urlando tutta la sua rabbia per le vicende della sua vita.

Completamente in bianco e nero e girato con una Red Digital Camera, in The Call "Anche se non si vede...NY si respira ad ogni 'frame': la luce fuori dalla finestra, il rumore della strada, le dimensioni claustrofobiche dell'appartamento. Chiunque sia stato a NY, al di fuori della dimensione turistica, credo riesca a capire a cosa mi riferisco." Così Frank Jerky risponde  alle nostre domande, e continua:"Non riesco proprio ad immaginare un The Call all'italiana, sarebbe grottesco, per nulla malato...ma anzi comico. The Call in Italia non avrebbe senso".  La nostra chiacchierata "digitale", data la diversa ubicazione di ognuno, continua e ci dà un colpo d'occhio sul mondo del video oltre Oceano e gli influssi che possono 'far bene' anche allo Stivale:

Frank: The Call è una barzelletta folle. Chi la guarda non può fare a meno di esserne attratto perché è eccessiva, nel bene e nel male. Noi questo volevamo. Volevamo esagerare, strillare, spaccare tutto, farci sentire anche se alla fine poi, come si vede nel film, non ci sente nessuno. Il filo conduttore di tutto è proprio ... il filo del telefono interminabile, il resto non è altro che un crescendo di note, proprio come una canzone, dove ad ogni nota, nel montaggio corrisponde un taglio. The Call si chiude come un concerto rock, nel momento di maggior rumore, al massimo del volume.

Vittorio: The Call non è altro che una commedia, non ha messaggi subliminali, sebbene per quanto mi riguarda rispecchi perfettamente la follia della società contemporanea. The Call è più un modo di dimostrare a noi stessi che si può fare un bel corto con solo un attore e un telefono in scena. Nel corto si coglie quella semplicità che può essere considerata come il lato europeo del progetto: il risultato che si ottiene unendo questi due elementi dà personalità al nostro lavoro.

Come avreste prodotto il corto se invece di averlo girato nella Grande Mela, lo aveste girato in Italia?

F: Per quanto riguarda la scelta di NY, beh per noi la questione non è mai stata tanto il DOVE ma il QUANTO. New York è una città che mangia e respira cinema 24 ore su 24, e trovare una troupe di professionisti appassionati, disposti a lavorare senza un vero budget è facile. E così è stato. In Italia è diverso: il cinema indipendente non esiste, o almeno non a questi livelli. Se avessimo girato a Roma con una troupe italiana di pari livello avremmo speso il doppio...anche di più. Il progetto deve rimanere un progetto internazionale.

Quali sono i festival a cui state presentando The Call e quali le aspettative future?
V: Data la natura del corto abbiamo più fiducia nei festival internazionali, come il Tribeca e il Sundance dove già essere selezionati sarebbe un gran traguardo e da dove si può cominciare ad avere un pò di visibilità.

In Italia c'è molta apprensione, soprattutto in questi giorni, sui tagli che stanno subendo i settori della cultura e non ultimo del cinema: soprattutto per te Frank che hai scelto di emigrare e di fare questa professione altrove cosa significa? E Vittorio invece che intenzioni hai?

F: Dispiace. Dispiace tanto.  È un momento difficile e purtroppo chi ne paga le conseguenze sono anche i settori artistici come il cinema, questo non solo in Italia ma un pò ovunque. Ovviamente mi riferisco soprattutto al cinema indipendente. Il problema dell'italia è che a fare  cinema sono sempre i soliti 4 o 5 nomi, poche le disponibilità economiche dove i produttori non vogliono rischiare e preferiscono puntare su investimenti sicuri. C'è paura di finanziare i giovani, c'è paura di scommettere e di credere in un progetto.

Poi per quanto mi riguarda, a livello cinematografico, io sono stato sempre molto scettico nei confronti del mio paese, non lo nascondo. Quando me ne sono andato, la crisi ancora non era scoppiata, quindi non è stato quello il motivo della mia partenza. La verità è che mi sono sempre sentito molto più vicino al cinema americano rispetto a quello italiano attuale. Non mi sento un regista italiano all'estero, me ne sono andato molto giovane quindi la mia formazione artistica è avvenuta e sta avvenendo qui in America. Spero però con tutto il cuore che la mia generazione riesca a cambiare le cose in Italia.

V: La difficoltà maggiore qui In Italia mi ha dato l'input, oltre a questo progetto, di programmare anche io un viaggio di sola andata.

Tra coloro i quali hanno collaborato al progetto credendoci fino in fondo e accettando la sfida indipendente di una produzione con zero o poco budget, il direttore della fotografia Luca Fantini (anche la sua una professionalità in esportazione...). La cifra per misurare il risultato di un buon prodotto senza budget, si misura come è successo con The Call, nell'arco di un'unica giornata! "Con le lancette dell'orologio che correvano", sospira Frank,  perché "non potevamo permetterci di affittare tutto l'equipment per un altro giorno". Limite, però che non ha fermato Luca dal ricreare perfettamente l'atmosfera senza risparmiarsi ad ogni singolo shot.

Oltre al direttore della fotografia anche la band romana dei Pink Puffers ha accettato, previo visione del corto premontato, di creare la colonna sonora. "Hanno apprezzato il corto e il suo stile e le loro note da cartone animato giapponese si sono sposate perfettamente con The Call dandogli ancora più' sapore".

Anche lo strumento utilizzato, la Red One, seppure rappresentante di una nuova tecnologia di cui tutti nell'ambiente ormai apprezzano i risultati, è stato scelto in base alle risorse a disposizione. Il video, come ci conferma Frank,  ha raggiunto un livello tale che un occhio non esperto non è  in grado di notare la differenza con la pellicola.

Tecnologia ad alto livello, costi accessibili e professionalità  hanno saputo puntare la prospettiva su uno squarcio di società e la schizzofrenia che oggi la caratterizza. Un esempio che viene dall'America si, ma pensato creato e confezionato da capacità nostrane.

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