Intervista a Giovanni Spagnoletti. Il futuro del cinema

Cinema / Intervista - 05 April 2011 11:40

Le tendenze del cinema in 3D, delle riviste di cinema online e della critica.

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Abbiamo intervistato Giovanni Spagnoletti, docente di Storia e critica del Cinema presso l’Università Tor Vergata di Roma, direttore della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro e autore di svariati saggi e pubblicazioni sul cinema italo-americano contemporaneo, il cinema tedesco e i linguaggi delle nuove cinematografie tra gli anni ’60 e ’70. Spagnoletti ci ha raccontato la sua idea di cinema, come questa sia in evoluzione e la sua opinione sulla critica cinematografica online.

D. Lei ha dato sempre molto spazio alle nuove frontiere dei cinema internazionali a cavallo tra gli anni 60/70: il nuovo cinema tedesco, il nuovo cinema italiano, la nouvelle vague francese, il Free cinema inglese, il cinema americano della fine degli anni ’70 con Steven Spielberg e Martin Scorsese. Cosa c’è di nuovo in questo cinema e secondo lei c’è ancora spazio per una innovazione narrativa e figurativa simile?
R. È stata un’esperienza storica che è andata avanti per una passione per il nuovo cinema post moderno. Oggi abbiano una innovazione tecnologica digitale. Il cinema è abbastanza in crisi  per via del nuovo cinema. Oggi è abbastanza chiusa questa esperienza. Cosa si sta facendo adesso? È un tema molto vario. Lo spettacolo cinematografico non ha più quella attrattiva e non sembra avere quella importanza verso la società che aveva 20 o 30 anni fa. Quando  usciva un film di Federico Fellini, Michelangelo Antonioni l’attenzione di tutto il pubblico si accentrava su questi film. Oggi è raro parlare di film sulle prime pagine dei giorni. È diventato più normale, meno una sonda della società. Non bisogna essere pessimisti. Ci sarà di nuovo, dopo questo periodo di trapasso. Occorre aspettare per capire dove il medium andrà. Tanto che ora si parla di post-cinema. La sala sta sempre di più perdendo d’importanza. Già la tv è un media antiquanto che probabilmente sopravvivrà in un sistema di diffusione completamente diverso rispetto a quello che è stato nel secolo scorso.

D. A me pare che molti di quegli autori abbiano ancora entusiasmo: Spielberg, Marco Bellocchio e Bernardo Bertolucci per l’Italia, un po’ meno la Francia e la Germania, Ken Loach e Mike Leight per l’Inghilterra. Tanto che ancora questi ultimi vincono premi importanti a Cannes e Venezia: bisogna andare così indietro negli anni per trovare delle novità?
R. Sono situazioni di registi che sono nati in un’altra epoca, che continuano a lavorare e scrivere nell’epoca attuale. Non c’è una novità in questo senso, c’è una continuità di lavoro, tanto che loro continuano a fare film come lo facevano anni fa. Rappresentano la continuazione di un discorso passato e molto difficilmente di uno futuro.

D. Cosa ne pensa del cinema americano contemporaneo e del diluvio del 3D?
R. Il 3d è sempre esistito. Oggi sembra essere una sorta di salvagente per l’industria spettacolare americana, quella che impegna più tecnologia e denaro in questa innovazione. Devo dire che per esempio il 3D può anche essere usato da registi che non necessariamente vogliono fare dei film ultraspettacolari dome James Cameron. Gli stessi Werner Herzog e Wim Wenders hanno realizzato film in 3D. Quello di Wenders si chiama Pina, e uscirà in autunno in Italia. È un esperimento per utilizzare in maniera inventiva le possibilità del 3D, che non sono unicamente quella della sorpresa e del film d’azione.

D. Molta critica cinematografica contemporanea si ferma all’aspetto recensore del film, che trova però interesse nei lettori. Basta questo per lei, per fare critica o si tratta solo di un passaggio per lo stipendio?
R. Gli stipendi non ci sono. I critici sono spariti. La critica è fatta dai cinefili – la funzione dei critici è molto mutata. Chi va al cinema sono giovani che non leggono quotidiani, e si servono del passaparola. È cambiato il meccanismo della critica. Non esistono i critici di una volta, come Tullio Kezich. Ci sono bravi critici come Paolo Merghetti e Fabio Ferzetti, come altri. La funzione della critica è passata soprattutto a chi lavora in internet. Il discorso sull’interpretazione può essere fatto anche nella maniera migliore. Il punto di vista saggistico però è una forma lunga che va affrontata in un libro.

D. Cosa ne pensa del traboccare di riviste di cinema online?
R. Il fatto che ci siano diverse riviste di cinema sul web è positivo, visto che quelle su carta stanno sparendo. Non c’è più un mercato: anche in Francia riviste storiche come Positif e Cahier du cinema sono in crisi.

D. Lei è direttore artistico della Mostra Internazionale del nuovo Cinema di Pesaro. Quest’anno il focus sarà sui documentari nel cinema russo contemporaneo: come mai c’è questo approfondimento verso cinematografia fuori dal mercato distributivo italiano?
R. Proprio perché la mission del festival di Pesaro è quella di far conoscere agli specialisti e cinefili, o agli spettatori comuni,  cinematografie che non che non sono presenti sul mercato commerciale. I festival presentano un mercato parallelo e i Festival grandi sono orientati verso prodotti per il grande pubblico. Il cinema di qualità ha sempre maggiori difficoltà di diffusione: trova nei festival una possibilità, occasione di essere notato e poter essere distribuito. Il documentario è di fatto poco conosciuto, ed è uno dei modi migliori per indagare la società. Il cinema russo fa parte delle grandi tradizioni e negli ultimi anni stato dimenticato. Da ciò l’idea di presentare un focus, dopo quello dell’anno scorso sul cinema di fiction russo contemporaneo. E poi la Nuova Russia compie 20 anni, e il documentario è un ottimo modo per comprendere anche cosa sia avvenuto.

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