Mostra del Cinema di Venezia 2025, recensione film L’Étranger
Scopri L’Étranger, il film in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia
Non sempre è facile discernere tra ciò che è bene dire, e la possibilità di mentire. Meursault (Benjamin Voisin) non si pone tale questione, perché lui opta sempre per la verità: "Perché mentire?" chiede alla fidanzata Marie Cardona (Rebecca Marder), incontrata in spiaggia, il giorno dopo aver partecipato al funerale della propria madre.
Meursault risponde
sempre con freddezza, quasi si disinteressasse delle questioni del mondo,
volando a mezz'aria, con una superiorità che non lo condurrà lontano. L'Étranger
(The Stranger) di François Ozon è tratto dall'omonimo romanzo di Albert Camus,
emblema dell'esistenzialismo letterario: l'ambientazione è ad Algeri, nel 1938,
quando vigeva la pena di morte. E Meursault sembra quasi sfidarla, mentre
persegue la sua indifferenza, immune da sentimenti. Al funerale della madre non
piange, e quando con cinque colpi di pistola uccide un uomo sulla spiaggia,
durante il processo la sua atarassia è motivo di aggravante nelle accuse. “Al
funerale non ha pianto” testimonia il direttore dell’ospizio in cui la madre
era ricoverata.
Il film di Ozon parrebbe confinato in un periodo atavico, grazie anche al bianco e nero: ma è più attuale di quanto non sembri, perché pone il quesito se la colpevolezza sia da accettare rispetto al tentativo di scagionarsi. Meursault è rigoroso: preferisce subire la pena, perché lui è presente alla sua vita, e alle azioni che compie. In un periodo in cui tutto è falsificabile tramite le varie intelligenze artificiali, lui è l'emblema dell'autenticità, cui non si può mai comunque sfuggire. Se l'amico lenone Raymond Sintès (Pierre Lottin) gli chiede di scrivere una lettera per far tornare una prostituta, lui accetta, perché non scorge differenza tra agire ed essere statico.
Schede
Ozon tratta con la
medesima asprezza la regia, fatta di inquadrature dall'alto, o di pedinamenti
del volto. La pena di morte che Meursault sfida, è una condanna a cui non si
sottrae, anche se lui ausica che il governo gli conceda la grazia. Per la
stessa coerenza, Albert Camus vinse il Premio Nobel per la letteratura nel
1957.
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