Festival di Venezia 2025, recensione film A pied d'oeuvre
Scopri A pied d'oeuvre, il film in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia

Un ex fotografo, Paul Marquet (Bastien Bouillon) divorziato e con due figli, si dedica ora alla scrittura. Ma la vita di Parigi è troppo costosa per lui, e per racimolare quanto gli serve per sopravvivere si alterna in lavori saltuari: da tuttofare che assembla i mobili, a tassista. A pied d'oeuvre – in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia – racconta la débâcle del sistema del welfare attuale, in cui le app di lavoro prendono il posto degli enti che dovrebbero instradare a un collocamento. L’app cui s’iscrive il protagonista gli permette di guadagnare venti dollari per mansione, ma per garantirsi di svettare sulla concorrenza, è spesso costretto ad abbassare il suo compenso.
Inoltre lui cerca di mantenere una costanza nella
scrittura. “Ricevo solo 250 dollari al mese di diritti” dice, quasi più fiero
di tale cifra, che di un possibile maggiore guadagno ma realizzato con un
lavoro che non gratifichi. Il padre (André
Marcon) lo assilla nel trovare un
altro lavoro, così come la sorella. La ex moglie (Virginie Ledoyen) non approva che nei suoi romanzi srvia delle loro vicende familiari
e “intime”. “Di cosa dovrei scrivere?” risponde lui.
Il timore che possa finire come un clochard è reale, perché Paul deve anche lasciare il monolocale in cui vive. Sarà la titolare di una tabaccheria a restituirgli la volontà di proseguire nel mestiere di scrittore, lasciandolo stupefatto di fronte a ciò che la vita può offrire.
La regista Valérie
Donzelli ha adattato l’omonimo romanzo di Franck Courtès, ispirato a una storia
vera. Percorre la vita di Paul in maniera lucida, mostrando dove possono
spaziare le possibilità umane, se si cerca di non essere imbrigliati in
costrutti sociali. I rischi sono quelli che Paul corre, ma che ognuno di noi
potrebbe trovarsi ad affrontare, se solo pensasse di avvicinarsi a un grado di
libertà leggermente superiore alla media.
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