Totò, una funambolo della comicità in 150 film
Totò scomparve il 5 aprile del 1967. La sua comicità è ora affiancata a quella dei grandi comici del '900.

Totò è ricordato per il cinquantenne della sua scomparsa, avvenuta il il 5 aprile del 1967.
Antonio De Curtis è stato un artista che ha saputo esprimere la forza dell’arguzia del corpo, coadiuvata dalle battute lapidarie. Ma in primis era la sua mimica che attraeva lo spettatore, tanto da lasciarlo basito e da fare in modo che ogni film che contenesse nel titolo il suo nome fosse un successo al botteghino.
In un episodio raccontato dallo sceneggiatore Vincenzo Cerami, durante le riprese dell’episodio “Che cosa sono le nuvole?” diretto da Pier Paolo Pasolini un anno prima della scomparsa dell’attore, Totò ormai non vedente si presentava sul set, posava la bombetta, toglieva gli occhiali e recitava la sua parte come se fosse un impiegato che deve svolgere la meglio la sua mansione. Terminata la scena si faceva restituire la bombetta, la indossava e se ne andava.
Questo episodio descrive la sua accuratezza lavorativa, che sapeva essere separata dalla sua vita e che eseguiva nel migliore modo possibile. “Restano i suoi centocinquanta film (…) ma nessuna immagine dello schermo può sovrapporsi alla memoria, che lo spettatore conserva, di quella sua presenza in palcoscenico o sulla passerella quando, alla fine dei suoi spettacoli, si metteva a correre (e dietro a lui tutta la compagnia, uno all’ultima ballerina) al ritmo della marcia dei bersaglieri”, dice il giornalista Roberto de Monticelli in un suo articolo su Il giorno (05-04-1973) . E ciò indica anche che la maschera di Totò è stata vista per anni come una porzione di risata posta sopra una storia, Senza contare che era lui stesso la storia che raccontava, e che senza di lui non era possibile narrarla. Come per Jerry Lewis, Buster Keaton, Stanlio e Olio.
Trovando rari manifesti dei sui film, emerge proprio questo aspetto fisico indelebile. In un poster polacco de “Guardie e ladri” (“Zlodzieje I Policjanci”, 1954 e che ebbe 6.3 milioni di spettatori) di Mario Monicelli, vediamo con colori grigio, marrone, blu e rosa la figura intera di Aldo Fabrizi inseguire Totò intorno ad una colonna. In questo caso già dalla posizione dei due emerge un’ironia, se non la stessa trama del film in cui il brigadiere Lorenzo Bottoni insegue il ladro Ferdinando Esposito.
In “L’oro di Napoli” (“The Gold Of Naples”, 1954) di Vittorio De Sica - distribuito negli Usa tramite la Distributors Corporation of America nel 1957 - abbiamo un poster con sfondo rosso, giallo e blu. L’illustrazione mostra a figura intera la protagonista Sophia Loren, e un uomo di profilo che porta una bandiera. Totò appare però con le scarpe come fossero di legno, quelle indossate dal burattino Pinocchio. Fu questa l’intuizione del produttore Carlo Ponti, marito della Loren che nell’episodio “Pizze a credito” mostra la formosa attrice come pizzaiola fedifraga, mentre in altro episodio Don Saverio Petrillo (Totò) è il “Pazzariello" che manda via di casa il guappo del Rione Sanità. Anche se gli episodi erano diversi, nel poster la formosità della Lorne non poteva che essere presente con il robotismo di Totò.
Nel film drammatico “Uccellacci uccellini” (“The Hawks And The Sparrows”, 1966) Pier Paolo Pasolini scegli un poster in cui Totò è esibito con un ritratto dai lineamenti tesi: dietro a lui ci sono le silhouette di due uomini che camminano, mentre un uccello li sorvola. Qui Totò Innocenti e il figlio Ninetto si trovano a discorrere con un corvo, che racconta di frati francescani, che li accompagna con discorsi anche politici: alla fine i due cucinano il corvo.
Nel poster di “Miracolo a Milano” (“Miracle in Milan”, 1951) in primo piano c’è un uomo che si trova accanto ad un ragazzo che sorregge un uccello. Sullo sfondo, due spiriti volano attraverso l’aria sopra il Duomo di Milano, mentre delle silhouette confabulano. È il poster più allegorico, che vede l’attore Francesco Golisano nel ruolo di Totò, assente nella pellicola. Infatti il ruolo avrebbe dovuto essere suo, tanto che lo stesso film è tratto dal racconto “Totò il buono” di Cesare Zavattini. Il cappello a cilindro è quello di Totò, che diviene così anche un personaggio degno di essere raccontato: il protagonista del film - di nome Totò - dall’orfanotrofio in cui è cresciuto diverrà amico dei barboni, li aiuterà e alla fine li porterà a Piazza Duomo, da cui voleranno a cavalcioni di scope (con una scena ripresa in “E.T. l'extra-terrestre” di Steven Spielberg).
In “Risate di gioia” (“The Passionate Thief”, 1964) di Mario Monicelli vediamo una donna prosperosa vicino ad un uomo ormai riconoscibile come Totò, che ormai è un individuo con una sua anagrafica precisa. Gioia (Anna Magnani) è una comparsa a Cinecittà, mentre Umberto Pennazzuto (Totò) escogita degli infortuni per riscuotere l’assicurazione. Nel poster solo il titolo paventa la gioia, perché l’espressione dei due è mesta, quasi a delineare una comicità con un pensiero affranto.
Forse il poster che meglio riassume la vivacità di Totò è quello di “Tototarzan” (950) di Mario Mattoli. Qui Totò è come Tarzan, indossa una tuta fatta di pelle di leopardo. Dietro di lui c’è uno scimpanzé che sta fumando una sigaretta. Forse il film più completo per la mimesi di acrobazie e risate, e anche quello che la critica concepì come più ridicolo. In realtà il colore verde, giallo e rosso del poster indicano una possibilità di fuga da un decennio nefasto.
Gli spettatori di “Tototarzan” film furono 3,7 milioni, e la semplicità delle sue battute era anche una visione della vita. Quando il concierge dell’hotel chiede a Totò: “Da dove proviene”, lui risponde, “dalla porta”.
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