Recensione del film Dunkirk

Cinema / Recensione - 30 August 2017 08:00

"Dunkirk" è il film di guerra di Christopher Nolan.

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Dunkirk è il film di Christopher Nolan, con Fionn Whitehead, Tom Glynn-Carney, Harry Styles, Kenneth Branagh, Cillian Murphy, Mark Rylance e Tom Hardy.

È assente la musica dal film, per identificare lo spettatore in una vicenda che non ha nulla dell’eroismo sinfonico. E da qui emerge un tono inglese che Nolan ha voluto attribuire alla pellicola, scevro da barocchismi e saturo di sofferenza. Quasi emulando la ricerca del dettaglio de “La sottile linea rossa” di Terrence Malick che evoca un episodio della guerra di Crimea.

In questo modo dal cielo scende solo il latrato degli aerei che bombardano la spiaggia di Dunkirk, con gli uomini stesi a terra per proteggersi mentre le bombe piovono accanto a loro, lasciandoli morti. L’episodio è quello avvenuto a maggio del 1940, quando 400000 uomini rimasero intrappolati sulla spiaggia della località francese perché impossibilitati a raggiungere l’Inghilterra. La secca del mare è lunga 7 metri, l’attracco per le navi inglese è proibitivo.

Poi tutto procede con gesti istantanei, raccontando con tecnica naturalista ciò che avveniva in quei momenti di tentata salvezza, cercando di affrettarsi nel trasbordo per non essere sospesi dagli avversari tedeschi. Dal salire sulle navi al gesto di mangiare di Alex (Harry Styles), l’inseguimento in aereo di Farrier (Tom Hardy) mentre i colleghi nella nave fanno uno spuntino.

Il film è proprio sintetizzato dal gesto di Farrier, che mentre sorvola l’oceano vede le scialuppe degli amici affondare, con lo sguardo che si allontana insieme all’aereo in una soggettiva dolente. Lo steso sguardo di Nolan che vede allontanarsi i suoi protagonisti senza poteri fermare.

La macchina da presa (70 millimetri e IMAX) è obliqua mentre accoglie i superstiti che arrembano nella spiaggia, senza alcun dialogo di facile esortazione, tra cadaveri che galleggiano spinti oltre la riva.

Il ritorno verso la terra inglese che dista solo 26 miglia è anche quello verso una madre: in tutto il film sono assenti le donne, e raggiungere la sponda dell’Inghilterra è anche il ritorno ad una dimensione dimenticata. Qui non c’è nessun soldato Ryan da salvare, perché non c’è tensione tra i protagonisti che devono sono cercare di proteggere se stessi, senza valori da difendere come l’amicizia o il ricordo.

E in tal senso il film si delinea più come un documentario che come racconto di finzione, vittima delle stesse immagini che cerca di far dialogare tra loro. Ma un’esplosione resta tale se non raccontata, così come una morte per annegamento.

Le riprese si sono svolte nella location dove l’evento è accaduto, si è ricostruito il molo che svolse un ruolo fondamentale nell’evacuazione perché il mare è molto basso in quel punto e quindi era impossibile per le grandi navi militari raggiungere la riva. Ciascun costume è stato cucito, sono state reperite dozzine di barche dell’epoca ritrovate in nove diversi paesi, tra cui dragamine, una barca ospedale ed un cacciatorpediniere francese.

Questa ricostruzione centellinata per Christopher Nolan aveva lo scopo di porre il pubblico sulla spiaggia o sulle imbarcazioni che attraversavano la Manica, oppure nella cabina di pilotaggio degli Spitfire.

Nolan dopo “Interstellar" (2014) continua con un racconto di effetto ma spesso tenue, sopraffatto dal tentativo di sopravvivenza dei protagonisti che si muovono come una collettività senza desideri, se non quelli dell’animale istinto a fuggire.

© Riproduzione riservata




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