Recensione del film Noi siamo tutto
"Noi siamo tutto" è il film drammatico tratto dal romanzo di Nicola Yoon.

La discendenza da un romanzo è evidente in “Noi siamo tutto” (“Everything Everything”), film di Stella Meghie tratto dall’opera di della scrittrice Nicola Yoon. Della reclusione in un appartamento della giovane adolescente Maddy Whittier (Amandla Stenberg), ai gesti che portano il suo nuovo vicino di casa Nick Robinson (Olly Bright) a contattarla: lui scrive il suo numero di cellulare sul vetro della finestra.
I due giovani non possono incontrarsi: lei è affetta da una Immunodeficienza per cui non può entrare a contatto con l’aria, né interagire con gli altri. A badare a lei c’è la madre Paulina (Anika Noni Rose) e l’infermiera Carla (Ana de la Reguera).
E il dettaglio sul dolce bundt offerto da Nick è il linea con il tenore del film fatto di minimi gesti che spingono l’azione verso un finale shoccante.
Pauline rifiuta quel bundt, mentre sta per chiudere la porta il ragazzo chiede dove sia la figlia. È da lì che iniziano i contatti, quel numero lasciato sul vetro, il furtivo incontro, il bacio. Tutto avviene di nascosto dalla madre Pauline, che teme che lei possa solo uscire di casa. “Perché rischiare la tua vita per uno sconosciuto?” implora la madre quando Maddy calpesta per pochi secondi in giardino, dove Nick è picchiato dal proprio padre.
Il film procede per metà della durata con queste attese, piccoli movimenti domestici, conoscenze lievi che in un romanzo risultano di buon intrattenimento, ma che in un film danno il sentore di una soap opera. “Non voglio perderti”, “non c’è nessun’altra ragazza” civetta Nick: dialoghi sentimentali tropo abusati per risultare credibili.
Il viaggio alla Hawaii che i due compiono di nascosto rende più consci i due protagonisti - e lo spettatore - di come affrontare gli impedimenti con irrazionalità, quella che permette di superare il condizionamento altrui. In questo caso rappresentato della madre Paulina, ma metafora di costrizioni più generali da cui non possiamo - e vogliamo - estrometterci. E la fotografia del film alle Hawaii diventa anche più solare, come il tuffo di Maddy nell’oceano che potrebbe minacciarle la sua vita. La regia stessa diventa veloce, quasi da videoclip per segnare il passaggio ad una realtà nuova, spensierata e giovanilistica.
Gli ambienti in cui Maddu vive sono claustrofobici come i suoi pensieri pronti a librarsi. Se Maddy vorrebbe diventare architetto, vediamo i personaggi nella stessa stanza, anche se in realtà ciò avviene nella sua mente. Quando lei legge un libro con un inserviente vestito con una tuta asettica, pare di essere in u film di fantascienza. Tutti questi spunti interessanti sono però stati trattati in maniera troppo approssimativa, tanto da rendere ostica l’identificazione con i personaggi.
Il film “Noi siamo tutto” cerca di emulare i successi di “Colpa delle stelle” (2008) - tratto dal romanzo di John Green - o “Io prima di te” (2016) - da Jojo Moyes - dove la malattia è l’emblema di una limitazione che occorre superare, sia fisicamente che dal punto di vista psicologico. Ma stavolta il messaggio rivolto ai giovani è troppo semplice per essere recepito.
La scrittrice Nicola Yoon compose il loro di mattina, essendo un ingegnere: dopo la nascita della figlia avvertì un senso di protezione, che pensò di riversare in un libro. Quel senso di protezione che nel film invece viene tradito.
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