Recensione del film ‘Benedetta follia’

Cinema / Recensione - 10 January 2018 08:00

“Benedetta follia” è il film di Carlo Verdone con Ilenia Pastorelli.\r\n\r\n

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Benedetta follia è il film commedia di Carlo Verdone. Guglielmo Pantalei (Verdone), padre di due figli scopre che la moglie Lidia (Lucrezia Lante della Rovere) ha una relazione con la propria commessa. Lui gestisce un negozio di arredi sacri, e i clienti sono esponenti del Vaticano come preti, suore e alti prelati.

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Già da qui comprendiamo l’irrealtà della vicenda raccontata, tra sentimenti modaioli che vogliono una madre di famiglia che si scopre lesbica e una moralità che forzatamente viene inscritta in un negozio religioso. È abbastanza bassa la probabilità di trovare un proprietario di un negozio di arredi sacri che abbia la moglie omosessuale: è la stessa forzatura nel cercare situazioni comiche si perpetua durante tutto il film, con gli incontri cui Guglielmo è costretto.

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Infatti la nuova commessa è Luna (Ilenia Pastorelli), giovane imprevedibile e romanamente coatta, che per smuovere Guglielmo dal torpore lo iscrive ad una app di incontri. Guglielmo si trova così tra milf da evitare, giovani sessuomani che usano la vibrazione le cellulare per altri motivi, notti sballate in discoteca. Lui stesso ormai tenta di riacciuffare una giovinezza dimenticata, con cui la sue sedentarietà cozza di continuo.

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La forzatura delle scene è l'aspetto più chiassoso del film, presentando di continuo personaggi irreali contro cui lui possa confrontarsi per suscitare una risata. Una tecnica che in realtà non è diversa da quella del cartone animato "The Simpsons”.

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“Cartonesco” diventa così il neologismo per definire il film, usabile in varie recenti pellicole del regista Verdone: se i personaggi non sanno trovare una seria consecuzione alle loro scelte, allora conviene farli ballonzolare da una situazione all’altra che porterà alla risata.

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Così non era il precedente film “L’abbiamo fatta grossa” (leggi la recensione), in cui l’investigatore squattrinato Arturo Merlino collabora in rocambolesche avventure da slapstick comedy con l’attore Yuri Pelagatti alla ricerca di una misteriosa valigetta da un milione di euro, con una narrazione anche più matura. Lo stesso non si poteva dire di “Posti in piedi in Paradiso” (2012) e “Io, loro e Lara” (2010), “Grande, grosso e Verdone” (2008) altrettanto sfilacciati, alternati invece alle buone prove di “Sotto una buona stella” (2014) e “Il mio miglior nemico” (2006).

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La convinzione della comicità spesso facile fa così sorvolare sulla coerenza del film, che poteva invece essere lo specchio di una nostalgia dell’età adulta. Quella in cui tutto potrebbe essere permesso, e invece ci si ritrova a dover rimettere in discussione le proprie solidità.

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Verdone - al venticinquesimo film - alterna film in cui fa della propria biografia una sorta di filtro della società attuale - come Woody Allen - ad altri in cui dà più importanza alla trama. Ma nel primo caso, per far evolvere la storia è costretto ad inserire sketch che velocizzino la trama, tanto da farla sembrare irreale e da mettere in discussione l’autobiografismo.

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Nel secondo caso pare invece più spigliato, proprio perché non bisognoso di raccontare se stesso ma libero di improvvisare con gli intrecci. È questo filone che gli è più consono.

© Riproduzione riservata




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