Recensione del film It

Cinema / Recensione - 18 October 2017 08:00

"It" è il film tratto dal romanzo di Stephen King.

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It è il film horror di Andy Muschietti, tratto dal romanzo di Stephen King.

La regia dall’inizio pretende di mostrare i vari punti di vista, e ciò allenta la tensione del film: il piccolo George (Jackson Robert Scott) cerca di prendere la sua barchetta di carta che scivola per la strada bagnata. All’improvviso da dentro lo scarico fognario una creatura vestita da clown lo chiama, è Pennywise (Bill Skarsgård). Vediamo le varie soggettive, per poi passare ad un’altra location, e tornare da George che viene amputato del braccio e trascinato nella fogna.

È questo il limite del film, che si accontenta di rendere più limpida possibile una storia che ha una trama horror e potente. Infatti l’assassinio dei bambini è nei plot - da quelli classici della letteratura ai cinematografici - uno dei maggiori peccati dell’uomo, già raccontato in “Medea” di Euripide, dove la protagonista uccide i figli; “Tito Andronico” di William Shakeaspeare, dove il re uccide il figlio della prigioniera Tamora. Chi si macchia di tale orrore è subito condannato dal lettore o dallo spettatore, senza attenuanti. E Pennywise non si sottrae a tale giudizio.

Ma usare una simile storia creata da Stephen King come unico appiglio narrativo, senza effettuare scelte registiche o di montaggio altrettanto audaci non rende giustizia a simile audacia. Ad esempio in “Shining” (1978) di Stanley Kubrick, tratto dal romanzo di King del 1977 il regista inscena una forma narrativa specifica che aumenta l’ascensione del film: dai colori della parte che richiamano lo stato d’animo del protagonista Jack Torrance, alle visioni, al piccolo Danny immerso in paesaggi innevati da cui non pensa di poter fuggire. E anche lì il movente era l’assassinio di un bambino, il figlio di Jack però con connotazioni anche edipiche nella psicologia del padre.

In “IT” il fratello del malcapitato George, Bill Denbrough (Jaeden Lieberher) ha poi il ruolo di scoprire la causa della scomparsa. A ciò si unisce la storia di Ben Hanscom (Jeremy Ray), ragazzo sovrappeso che incontra il clown Pennywise: e come nelle più obsolete trame di King, gli episodi di bullismo se non trattati in maniera edificante risultano inflazionati. Così le rivalità tra Ben e la banda di Henry Bowers non racconta nulla di più che quello che potrebbe essere rappresentato in un tv movie, proprio perché descritto nella solite dinamiche di vittimismo adolescenziali. Altro era la rappresentazione di questo disagio in “Precious” (2009) di Lee Daniels, oppure nel film "Carrie - Lo sguardo di Satana” (1976) di Brian de Palma tratto sempre da Stephen King. Ma in “IT” neanche questa seconda sotto-trama di bullismo riesce ad imporsi.

Ciò che ne deriva sono una serie di sequenze orrorifiche di sicuro impatto per far saltare dalla seggiola, ma virate in maniera ridicola e che si assuefanno alla storia senza rinvigorirla. Gli stessi tempi lunghi con sospiri, voci provenienti dal lavandino, senza sviscerare affatto da dove provenga Pennywise dilungano solo i tempi.

Il regista Andy Muschietti pur se usa una scenografia dagli eterogenei spazi di Claude Paré, che alterna interni cupi ed esterni solari, una fotografia tersa di Chung-Hoon Chung, resta come i bambini che osservano Pennywise, immobili di fronte al suo giugno e incapaci di affrontarlo.

La cura nei dettagli è certamente notevole, come il vestito del personaggio principale, con la costumista Janie Bryant che ha usato elementi medievali, rinascimentali ed Elisabettiani, suggerendo che Pennywise tormenta la città di Derry da centinaia di anni. Le stesse riprese si svolgono in ambienti studiati per incutere orrore: la location è Port Hope, nell’Ontario, con tre teatri di posa ai Pinewood Studios di Toronto. Un’enorme cisterna è servita per riprodurre la tana di Pennywise, tra oggetti che affiorano come lame, tessuti uniti per dare un senso di morte e degrado, un ammasso di giocattoli vecchi centinaia di anni. Giochi che appartenevano alle vittime di Pennywise.

Ma ciò non basta per rendere il film un degno emulo delle trasposizioni di King, da “Christine - La macchina infernale” (1983) a “Misery non deve morire” (1990), “Le ali della libertà” (1994), “L'ultima eclissi” (1995), “Il miglio verde” (1999). Tutti film che hanno re-interpretato il testo scritto, perché giunti alle motivazioni della trama ne hanno aggiunto un significato più universale. In “IT” Manca la giustificazione della ferocia di Pennywise, che ogni 27 anni torna ad uccidere, che nel romanzo era un'influenza subliminale con cui riusciva a circuire gli adescati. Per questo controllo controllo su ciò che succede a Derry, molti degli assassini commessi non furono risolti, se non dimenticati dagli abitanti della città, come la scomparsa di oltre trecento coloni da Derry Township nel 1740-43.

È la causa della sua crudeltà l’aspetto più interessante che in un film poteva essere raccontato, e che nel libro è assente perché aggrovigliato nelle descrizioni letterarie. Una carenza che la durata del film di due ore e venti minuti non può nascondere.

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