La pazza gioia: recensione del film dove la capacità di ascoltare rende liberi

Cinema / Recensione - 19 May 2016 08:00

Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi sono le protagoniste dell'ultimo film di Paolo Virzì, che focalizza l'attenzione sui disturbi della mente dimostrando come un rapporto empatico fonda

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La pazza gioia di Paolo Virzì racconta di un incontro fortuito da cui scaturirà un intenso rapporto empatico tra due donne, l’egocentrica Beatrice e la taciturna Donatella, così diverse eppure così vicine nella condivisione di un profondo malessere interiore.

La trama del film diretto da Palo Virzì presenta differenti tipi umani inseriti in una comunità terapeutica. L’ambiente “costrittivo” destinato a donne affette da disturbi mentali risulterà di capienza troppo ristretta per contenere l’esuberanza di Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi) e la fragilità di Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti), tanto che le due partiranno alla riscoperta della libertà, improvvisando un sodalizio che acquisterà sempre più intensità man mano che le due donne saranno l’una a stretto contatto con l’altra, pronte a conoscersi a vicenda.

Paolo Virzì, a due anni da Il capitale umano, torna sul grande schermo con una nuova opera drammatica, La pazza gioia, che intenerisce per la delicatezza con cui vengono descritte allo spettatore due vite travagliate, che si incontrano per volere del destino e iniziano insieme un ripido percorso di crescita interiore. Il regista, che proprio per Il capitale umano si è aggiudicato i David di Donatello per Miglior Regia e Miglior sceneggiatura, torna a dirigere Valeria Bruni Tedeschi, una dei protagonisti del suo precedente film, inserendovi accanto Micaela Ramazzotti, per una coppia che comunica esprimendo le proprie nette differenze.

Valeria Bruni Tedeschi, chiamata ad interpretare un pozzo senza fine di energie quale dimostra di essere Beatrice, offre un’ottima prova attoriale, servendo da guida e supporto morale alla co-protagonista, la debole, tanto fisicamente quanto mentalmente, Donatella, nel cui martoriato corpo si cala Micaela Ramazzotti. La prima è vivace e crede che si possa ancora riuscire ad agguantare briciole di libertà oltre la prigione di una comunità che non offre né riparo né cura, la seconda è intimorita, non sembra più nutrire fiducia nel prossimo, ancora meno in se stessa, ma la simbiosi che si verrà ad instaurare tra le due darà origine ad un saldo connubio che condurrà verso la rinascita di entrambe. Prima che il loro rapporto si evolva è interessante focalizzare l’attenzione sull’intelligente scena pensata per farle conoscere: Beatrice si finge terapeuta e ascolta Donatella, in un primo scambio di idee che preannuncia l’avventura che vivranno l’una accanto all’altra.

La pazza gioia, dunque, rappresenta un valido dramma italiano, motivo di orgoglio per il nostro Paese, presentato al Festival de Cannes 2016 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, in quanto narra di come un incontro dettato dal destino tra due anime libere e desiderose di esprimere se stesse nonostante pesanti e pressanti difficoltà materiali diventi materia di riflessione ed insegni, attraverso l’esaustivo rapporto empatico tra le due protagoniste, quanto sia vitale ascoltare ed essere ascoltati in un mondo che addita come pazzo il diverso che non riesce a comprendere e che si ostina a cercare la libertà, quando la società tutta intorno si accontenta del sostanziale stato di prigionia in cui è chiamata a vivere.

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