Gabriele D'Annunzio, viveur e vate: il contagio osmotico tra vita e arte
Gabriele D'Annunzio: il dannunzianesimo tra mondanità, prosa e poesia.
Gabriele D'Annunzio - Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo del 1863. Conseguiti gli studi liceali, nel 1874 pubblica una raccolta di versi “Primo vere”. Giuseppe Chiarini scriverà sul “Fanfulla della Domenica” che nell'olimpo della letteratura italiana c'è un nuovo poeta: Gabriele D'Annunzio.
Tuttavia, tra dalla fine dell'Ottocento fino alla Prima Guerra Mondiale, D'Annunzio esercita la propria influenza sia come scrittore che come viveur. Il culto della bellezza, il contagio osmotico tra vita e arte, il mito superomistico sono alcuni dei tratti distintivi che caratterizzano il “dannunzianesimo”. La vitalità mondana di D'Annunzio, costellata da scandali e duelli, confluisce in una prosa ricercata nella quale riversare biografia e gusto decadente.
Opere - Il protagonista del “Piacere” (1889), Andrea Sperelli riassume in sé sensualità, noia e sofisticatezza; quello de “Le Vergini delle rocce” (1896), Claudio Cantelmo, il culto della bellezza e il ribrezzo per la volgarità in ogni sua variante: Cantelmo, infatti, è un personaggio che nasce dopo le letture di D'Annunzio di Nietzsche. Nella rielaborazione del mito del superuomo, in romanzi e opere teatrali, echeggia la priorità dell'affermazione individuale nella società. Al superuomo si contrappone la figura della donna fatale che si nutre di eros e ne ostacola il successo.
Il piacere - Della parabola decadente di Sperelli, avido di piacere lungo il motto paterno “bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte”, Robert Musil ricorda nei “Diari 1899-1941” alcune annotazioni sul romanzo che gli ha fatto conoscere l'arte moderna, impressionato dalla “diffusa immoralità e un altrettanto diffuso estetismo” avvertito nella lettura: “Contiene una bella descrizione di una corsa di cavalli. Non l'ho più trovata così bella. Abbiamo conosciuto altre concezioni di lotta e di sforzo vitale. Una scena in cui la futura amante sale la scala davanti agli occhi dell'ammiratore. Qui il passo: «Le spalle emergevano pallide come l'avorio polito, divise da un solco morbido» l'ho trovato straordinario ancora adesso. L'aggettivo morbido è difficile da trovare. […] Egli è anche tra i pochi che sono capaci di descrivere un volto in maniera che lo si veda realmente e che non sia descritto semplicemente per l'autore. Poi ho notato che la sua acribia negli interni, nelle toilettes e simili va spesso troppo in là e che egli pratica dichiaratamente la tecnica del paragonare persone, posizione, gesti, a quadri noti e ignoti. In un modo che suscita l'impressione di snobismo”.
Poesie - Secondo molti critici, D'Annunzio fu soprattutto un poeta con una varietà e benevolenza tematica senza precedenti: nelle prime raccolte (“Canto novo”, “Intermezzo”) esprime il godimento verso ogni manifestazione della natura; in “Poema paradisiaco” (1893) c'è la malinconia e il desiderio di rinascita; in “Maia” (1903) celebra i destini degli eroi; in “Merope” (1912) è il vate patriottico e glorificatore della nazione. Anche la produzione poetica è suggellata dall'impellente ricerca estetica e dall'amore per la parola.
Notturno - Il D'Annunzio notturno asseconda il distacco dal mito superomistico e il sentimento di sconfitta. L'atterraggio di fortuna nel 1916 gli costa un lungo periodo di degenza costretto all'immobilità: nell'oscurità, con gli occhi bendati, compone il “Notturno” - la cui edizione definitiva viene pubblicata nel 1921 - su cartigli, strisce di carta di una sola riga. La raccolta lirica assimila ricordi e riflessioni, la sofferenza impone una revisione esistenziale: la compassione di una sorte collettiva, universalmente condivisa dall'umanità, fa breccia nello spirito.
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