Luigi Giannachi. I neuroni specchio e l'arte del cinema

Cinema / News - 10 January 2012 12:46

Presentiamo gli atti del convegno del Salus Film Festival 2006, primo festival sul rapporto tra cinema e salute. L'intervento è quello di Luigi Giannachi, neurochirurgo

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Prima di tutto vorrei fare una precisazione: il cinema è, a livello di supporto psicologico, più importante a livello diagnostico che non terapeutico. Questo lo dico perché chiaramente una persona che è malata di mente dovrebbe prima farsi seguire dal suo medico, dallo psicoterapeuta, da un ambiente terapeutico idoneo. Però il cinema nonostante tutto può svolgere un supporto notevole, non soltanto direi per la persona che ha una forma patologica ma anche una forma parafisiologica.

Non ci sono soltanto malati di mente, non ci sono soltanto persone sane. Ciascuno di noi ha dei  piccoli disturbi della personalità e forse il cinema può aiutare in questo. Il cinema ha una forma molto gestibile in realtà, auto-gestibile, e può svolgere diversi meccanismi in questo discorso. Gli  americani inevitabilmente sono più avanti di noi da questo punto di vista, non so perché: la cultura anglosassone è una cultura molto aperta, plastica e si sa aprire alle novità da questo punto di vista. Essi suddividono quella che chiamano cinematerapia in quattro forme di terapia. Ma come ho precisato prima secondo me è più una forma di tipo diagnostico, di supporto a livello psicologico piuttosto che una terapia vera e propria. La più banale è quella generica: è quella di andare almeno una volta nella propria vita al cinema, comprare i popcorn, mettersi seduti, rilassarsi. Quella diciamo e la forma primordiale di cinematerapia, per questo la chiamano popcorn-terapia.

Poi c’è invece una forma diciamo più di rottura, rispetto a quella che può essere una situazione qualunque. Una forma che loro chiamano una forma catartica, cioè quella di un  film che per le emozioni che fa provare ad un certo punto conduce ad un culmine. L’apice dell’emozione è molto ricercata dai registi, autori teatrali, cinematografici, sceneggiatori e su questo culmine provoca reazioni di pianto o di riso. Comunque una forma di emozioni molto forti, non c’è bisogno che uno pianga. Questa loro la individuano come terapia catartica.

Poi ci sono altre forme di terapia però so che ne ha parlato una persona allo scorso festival e quindi ho fatto soltanto due esempi. Quello che invece volevo dire di nuovo rispetto allo scorso festival è questo: ci sono due elementi cinematografici, puramente cinematografici che non esistono in un ambiente teatrale che differenziano il cinema come arte perché il cinema è effettivamente una delle sette arti, rispetto alle altre espressioni artistiche.

E queste due forme, meccanismi cinematografici sono molto conosciuti all’interno dell’ambiente del cinema però penso che anche voi l’abbiate notato. Una è molto diffusa e direi forse abusata in quelle che sono state le soap-opera cioè il primo piano.

Il primo piano è un meccanismo che annulla lo spazio fra lo spettatore e l’attore. Improvvisamente le emozioni dell’attore diventano quelle dello spettatore e improvvisamente siamo coinvolti nella situazione che sta vivendo il protagonista. Se è in fuga stiamo pensando o ragioniamo anche noi ad una fuga da cercare, se è in preda ad una lotta, ad una tensione per la conquista di una ragazza, di un premio, in fondo anche lo spettatore si sente coinvolto in questo slancio e pensa come lui potrebbe aver fatto o come farebbe in futuro a cercare la stessa cosa.

Il primo piano è da questo punto di vista è fantastico perché è una rappresentazione in movimento che annulla la distanza fra quello che è l’attore, se volete regista, e lo spettatore. Ed è un meccanismo in movimento perché in realtà un’immagine fotografica non è niente, pensate che il primo piano in realtà come tutte le sequenze cinematografiche come qualunque piano, è composta di almeno sette fotogrammi. Perché un’immagine oleografica non è percepita dall’occhio umano.

Nonostante tutto comunque vorrei dire questo; alcuni registi per esempio Kubrick, in piccole sequenze, ha inserito dei fotogrammi subliminali che arrivano al livello subcosciente. Se ne è parlato in realtà molti anni fa, venti, trenta anni fa, pensando che il cinema fosse un mezzo per la pubblicità. In realtà lo sappiamo tutti, la pubblicità ha fatto passi da gigante quindi non c’è più bisogno di questi mezzi. In realtà però il fatto d’inserire dei frames è un mezzo che il regista può usare, in una sequenza che a livello subliminale in realtà ci porta già a condividere le emozioni, le azioni del protagonista.

Ecco io finora ho usato un linguaggio cinematografico, anzi uso ancora linguaggi cinematografici.

Passando ad un altro grande regista, che è Hitchcock occorre parlare di una forma soggettiva.

Per soggettiva si intende quando il protagonista o meglio lo spettatore e la macchina da presa sono la stessa cosa. Quindi gli occhi della macchina da presa diventano quelli dello spettatore, lui diventa la telecamera.

E in questo modo lo spettatore è nell’ambiente, tutto ciò che vede la macchina da presa lo osserva anche lo spettatore.

E Hitchcock usava questo meccanismo alternandolo molto consciamente con i primi piani o con i mezzi piani, il mezzo busto.

In diversi film di Hitchcock c’è questo movimento, ossia una velocissima sequenza, prima di un’immagine, un ambiente, un campo anche profondo, poi c’è un mezzo busto, un primo piano, diciamo, all’altezza delle spalle. Poi un’immagine che s’ingrandisce, di quello che vede l’osservato, di quello che vede il protagonista. Poi il primo piano del protagonista. La scena dopo riprende ancora ciò che il protagonista vede, in questo modo c’è un’immedesimazione, un coinvolgimento con il protagonista che è dirompente, direi dirompente.

Passerei ad un linguaggio neurologico che mi è più congeniale e che però dice esattamente la stessa cosa. Cioè le azioni, le emozioni delle persone che mi circondano, che ci circondano attivano a livello cerebrale dei neuroni come se noi facessimo la stessa azione o come se provassimo la stessa emozione.

E questa è una scoperta italiana, di questo possiamo esserne sicuramente fieri, dell’Università di Parma, fatta dieci anni fa.

Però questa scoperta adesso a livello psicologico, sociologico e direi comunque neuro-biologico ha dei riscontri anche a livello di risonanza magnetica funzionale.

Qualcuno di voi si sarà sottoposto ad una risonanza magnetica, per un dolore o per qualche motivo. Si è scoperto che in realtà quando noi vediamo una persona fare una determinata azione, nel nostro cervello si attivano delle aree come se noi facessimo quell’azione. A livello inconsapevole. Poi la fase cognitiva può avvenire in un secondo momento, l’elaborazione può verificarsi successivamente e questo può manifestarsi anche nella nostra esperienza motoria. Ci sarà un’imitazione, un atto motorio, un’espressione, comunque una risposta da parte nostra. Ciò che quando vediamo un film in realtà non avviene, chiaramente quando noi ci lasciamo trasportare da un film ci possiamo sentire coinvolti dal protagonista ma non ci mettiamo a svolgere l’azione che lui fa. Comunque non ci mettiamo alla prova.

Nella vita quotidiana invece ciò succede e questa scoperta dei neuroni mirror, perché si chiamano così i neuroni che vengono attivati quando noi osserviamo delle azioni o delle emozioni, è molto importante per quanto riguarda il rapporto che ciascuno di noi ha con gli altri.

Ciò che in gergo tecnico si chiama l’intersoggettività.

Credo di aver parlato tanto. Quindi se volete farmi qualche domanda sono a vostra disposizione. O sennò continuiamo con la nostra tavola rotonda

[Pubblico]
Anche quando si vede una scena e poi nel sogno accade una cosa simile?

[Luigi Giannachi]
Sì. Cioè se uno si ritrova in quella situazione?

[Pubblico]
Nei sogni.

[Luigi Giannachi]
Sì, è possibile. Alcuni registi hanno fatto delle soggettive, ossia delle pseudo-soggettive. Delle soggettive impossibili le definirei, dove la macchina da presa coincide con gli occhi dello spettatore ma improvvisamente è come se riprendesse chi stava riprendendo l’azione ed è un modo per capovolgere la cosa. È un po’ come quando nei film c’è il campo e contro-campo, in cui si vede prima la persona che parla con una certa angolazione, poi l’altra persona. È un ping-pong e quindi è un continuo campo contro-campo. E certo uno può sentirsi immedesimato quando il sogno è una scena simile a quella che aveva visto in un ambiente cinematografico.

Volevo dire una cosa visto che è stato chiamato in causa Jung. Una delle sue teorie fondamentali era dell’esistenza di un inconscio collettivo comune, cioè di un retro mondo che noi tutti abbiamo, forse derivato dai nostri antenati, dai nostri geni visto che ora va di moda o forse derivato comunque dal nostro modo di pensare. Il nostro modo di pensare in realtà è sempre il medesimo, non è che dal primo uomo apparso sulla terra ad oggi è cambiato molto il cervello.

C’è una cosa secondo me fondamentale: non so se vi siete mai chiesti il perché una persona scrive una storia o un film. I primi uomini facevano dei disegni sulle caverne, chi vuole può andare ancora a vederli. Oggi abbiamo la tecnologia che è un mezzo più visivo, c’è il montaggio, però in realtà secondo me la finalità è sempre quella raccontare delle storie a qualcuno simile a noi.

Quindi metterlo nelle condizioni di vedere quello che noi stiamo raccontando e questo vale sia a livello individuale e sia probabilmente a livello dell’umanità.              

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