Venezia 80: recensione film Green Border
Green Border è il film presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia
Il confine verde che si tinge di rosso, rosso sangue. Il dramma dei rifugiati e la complessità dell’Unione Europea, incapace di mettere ordine ai propri confini e di gestire il dramma dei migranti.
La regista Agnieszka Holland torna sul tema (dopo Europa, Europa) e riprende il filone del docufilm, in versione lungometraggio, per raccontare diverse vite che si intrecciano in uno dei punti più terrificanti d’Europa, il confine tra Polonia e Bielorussia. Il cosiddetto “Confine verde”, caratterizzato da insidiose foreste paludose e dall’occhio attento delle forze dell’ordine, passaggio obbligato per tantissimi rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa che cercano di raggiungere l’Unione Europea. E’ soprattutto in questo spicchio di terra che si concretizza lo spietato piano del dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnko, che approfitta della stasi di Bruxelles per portare avanti la sua strategia geopolitica. Nel tentativo di provocare l’Europa, i rifugiati sono attirati al confine dalla propaganda che promette un facile passaggio verso l’UE. Persone, adulti e bambini, che finiscono per diventare pedine di questa guerra sommersa.
Green Border: il dramma dei rifugiati e le contraddizioni dell’Europa
Nel film si intrecciano le vite di Julia, un’attivista di recente formazione che ha rinunciato a una confortevole esistenza, di Jan, una giovane guardia di frontiera, e di una famiglia siriana (nel cast Jalal Altawil, Maja Ostaszewska, Tomasz Włosok, Behi Djanati Atai, Mohamad Al Rashi e Dalia Naous). Storie che raccontano la violenza subita da chi è costretto a tentare l’approdo in Europa: “Mi sono dimenticato di essere un uomo, mi hanno trasformato in un animale”, dice uno dei protagonisti, quando viene tratto in salvo da un gruppo di attivisti. Un lavoro che punta direttamente alla coscienza dell’Europa e lo fa rivolgendosi non solo alle autorità, ma anche ai singoli. Il punto di vista della storia infatti è mobile, e anche una guardia, un “cattivo”, viene rappresentato come un uomo che si pone delle domande interiori quando arriva a stretto contatto con la violenza contro chi tenta di fuggire da guerra e fame. Istituzioni, forze dell’ordine, semplici cittadini: tutti devono interrogarsi sul dramma dei rifugiati.
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