Recensione La terra di Dio di Francis Lee
In sala dal 24 maggio.

La terra di Dio (God's Own Country) segna il debutto alla regia di Francis Lee. Anche la sceneggiatura del film è a firma di Lee ed è, in parte, autobiografica. L'opera è stata coccolata dai maggiori festival, premiata al Sundance: è la prima produzione britannica che ottiene un riconoscimento all'evento che si tiene annualmente nella cornice di Park City. La pellicola è ambientata nella suggestiva location dello Yorkshire, luoghi già resi celebri grazie ai romanzi delle sorelle Brontë.
Johnny (Josh O’Connor) è un figlio unico, costretto a mandare avanti la fattoria di famiglia. Dopo un ictus, il padre (Ian Hart) non è autosufficiente. Una certa energia, a monitorare la situazione, risiede nella nonna (Gemma Jones). Tuttavia, il metodo di allevamento è obsoleto, non diversificato rispetto alla domanda del mercato.
Schede
Johnny è un giovane sopraffatto dalla situazione. Senza via di uscita, i piedi ben piantati nel mondo reale, non ha amici, né reali interessi. A fine giornata, si concede la sbronza serale e qualche incontro di sesso occasionale.
È la stagione della nascita degli agnelli. A coadiuvare Johnny nel lavoro, arriva Gheorghe (Alec Secareanu). Al ragazzo rumeno, chiamato per una settimana, è destinato un alloggio squallido e precario. Tuttavia, Gheorghe, inizialmente guardato con sospetto, si guadagna la fiducia del nucleo famigliare: è un esperto allevatore e sa salvare la vita agli agnelli più deboli. Soprattutto, ha dovuto assistere alla fine della sua stessa fattoria di famiglia, a causa di politiche inadeguate.
Johnny e Gheorghe finiscono per amarsi. L'uno è minato nella fragilità con l'avvento di un altro ictus del padre. L'altro si attacca, risoluto, alle proprie convinzioni, frutto dell'esperienza. Forse, quel Johnny non è la persona giusta.
La terra di Dio è un'opera con un malinconico sguardo sulle contraddizioni di un Paese doubleface, quello rurale a contrasto con quello metropolitano della City. Le due facce della Brexit?
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