Recensione film Untitled - Viaggio senza fine, il progetto di Michael Glawogger: girare il mondo per un anno
Il film, realizzato da Monika Willi, si basa sulle riprese e sugli scritti di Glawogger: in sala dal 19 aprile.

Untitled - Viaggio senza fine è il progetto di Michael Glawogger portato a termine da Monika Willi, sua collaboratrice da lungo tempo. Il cineasta austriaco muore il 22 aprile del 2014 in Liberia, poco più di quattro mesi dopo il viaggio intrapreso per girare questo documentario, a causa di una forma aggressiva di malaria.
Il suo intento era quello di aprire una finestra sul mondo, senza essere legato a una tematica dichiarata. Guidato dalla curiosità e dall'intuito: “Ero su un treno dalle parti di Los Mochis e Chihuahua e mi sono detto che il più bel film che potevo immaginare era un film che non si fermasse mai: se sei su un vagone merci e il mondo ti sfreccia accanto. Questo desiderio di fare un film che non si fermi mai mi ha seguito per tutta la carriera. Il mio prossimo progetto si chiama Untitled ed è un documentario sul nulla, non c'è un tema. Voglio solo girare il mondo per un anno, riprendendo tutto quello che mi passa davanti. È il mio progetto più estremo sul movimento e il viaggio” racconta Glawogger nella sequenza di apertura di Untitled.
In realtà un filo rosso c'è, quello del movimento e del viaggio, già cari a Wim Wenders e Peter Handke fin dagli Anni Settanta: dall'Austria ai Paesi dei Balcani (Ungheria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Serbia, Montenegro, Albania) passando per l'Appennino terremotato dell'Italia all'Africa (Marocco, Mauritania, Senegal, Guinea-Bissau, Guinea, Sierra Leone, Liberia).
Gli
scorci di vita, in angoli del mondo emarginati e, tuttavia, raggiunti
dalla tecnologia, non lasciano indifferenti, ma costringono a una
riflessione. Glawogger ragiona sull'importanza della libertà, un
diritto a cui l'uomo moderno sembra aver rinunciato in cambio di un
effimero senso di sicurezza: la paura è una compagna terribile,
conclude.
Visitando l'Africa, il regista intuisce la mancanza di
comunicazione tra la popolazione di questo continente e quella del
resto del mondo, proponendo un'alternativa calcistica (Mourinho resta Mourinho) per attualizzare la leggenda della Torre di Babele.
E poi c'è la questione degli addii: “Non era mai stato bravo con gli addii” racconta la voce fuori campo (Nada nella versione italiana, Fiona Shaw in quella inglese) “Quando te ne vai, te ne vai, aveva sempre pensato. Raramente è giusto dirsi addio: o è troppo informale, e fa soffrire gli altri, o sei tu stesso a soffrire. Se esageri, ed è troppo sentito, il tono non è giusto, e quando parti il vuoto dentro diventa troppo grande. La forza delle emozioni ti fa sentire solo. La maggior parte degli addii è inutilmente teatrale, perchè presto o tardi ci ritroveremo comunque. E se non sarà così, al momento dell'addio, non lo sapremo”.
Il cineasta se ne rende conto, non esiste posto al mondo in cui potersi rendere invisibile: il passaporto rende il passeggero un intruso, ovunque. Un documento che è sempre capace di rimandarti indietro al tuo Paese. Eppure, in Liberia, questo posto Michael Glawogger l'ha, infine, trovato.
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