Lights Out – Terrore nel buio: recensione del film personificazione della paura del buio
James Wan produce il primo lungometraggio diretto da David F. Sandberg, autore di numerosi cortometraggi, indagando la paura più antica di sempre, quella del buio…
Lights Out – Terrore nel buio, film diretto da David F. Sandberg e prodotto da James Wan, si snoda su una trama ruotante intorno ad un’entità oscura che invade le coscienze della famiglia protagonista.
Rebecca (Teresa Palmer) è cresciuta con un peso che le ha straziato l’adolescenza, non riuscendo spesso a discernere cosa fosse reale da cosa fosse solo nella sua immaginazione, soprattutto quando si trattava di affrontare il buio. Quando Martin (Gabriel Bateman), il piccolo fratellino di Rebecca, le confessa di percepire intorno a lui una presenza che si aggira minacciosamente quando la luce si affievolisce, Rebecca tenta di spiegargli cosa accadde quando era ancora una bambina e, cercando di risolvere una situazione di cui fu protagonista in passato, coinvolgendo anche la madre Sophie (Maria Bello) con cui l’ombra spettrale sembra avere una relazione particolare, la sua vita sarà in pericolo, in bilico tra equilibrio precario di luci e ombre.
David F. Sandberg si è occupato della sceneggiatura e della regia di un thriller horror che si fonda su un concetto primordiale, ma sempre efficace, rappresentato dalla paura del buio, dell’ignoto, di ciò che non si può controllare ad un primo sguardo godendo della chiarificante luce, naturale o artificiale che sia. In ambienti in cui la coscienza umana razionale non dimostra di avere il pieno controllo, ombre simili ad ologrammi si materializzano, prendono vita e, divenendo personificazioni di quella paura che la mente umana non riesce a dominare, si nutrono proprio del timore di indagare l’oscurità.
In diverse scene in cui l’entità maligna è presente si assiste alla progressiva materializzazione di ombre che a poco a poco prendono forma e acquisiscono peso corporeo, fino ad interagire con i personaggi di cui si percepiscono nitidamente volti, interazione che sfocia nel contrasto determinato da un passato irrisolto. I problemi un tempo vissuti da Rebecca, interpretata da Teresa Palmer, ora vengono condivisi anche dal piccolo Martin, Gabrile Bateman, in un’escalation di pathos che esplode nelle scene di contatto tra l’entità soprannaturale ed i corpi umani, fino al tentativo di imporre una catarsi forzata.
James Wan, da poco al cinema con il sequel di un riuscito thriller, virante anch’esso sul paranormale horror, il cui secondo capitolo prende il titolo di The Conjuring – Il caso Enfield, compare in Lights Out – Terrore nel buio in qualità di produttore, offrendo il suo supporto ad un progetto che nasce come cortometraggio. Infatti Lights Out è uscito nel 2013 sotto forma di short film, sempre per la direzione di David F. Sandberg. Amante della forma cortometraggio, ne ha girati 11, il regista firma con Lights Out il suo primo lungometraggio e quindi, volendo approdare su grande schermo, la storia dello short film di tre anni fa è stata articolata tra presente e passato, le relazioni sono state costruite in modo da intrecciarsi tra loro per fornire un tappeto base nel quale nell’entità oscura potesse annidarsi e, dunque, il film ha preso forma concedendo alla paura del buio un nuovo volto, quello del buio stesso.
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