Festival di Venezia 2017, il film 'My Generation' con Michael Cane sui mutamenti degli anni '60 - recensione
Al Festival di Venezia è stato presentato fuori concorso il film "My Generation"

My Generation è il film che propone una panoramica sui mutamenti accaduti a Londra negli anni ‘60, raccontati dall'attore Michael Cane.
Dal cemento degli anni precedenti, le difficoltà del dopoguerra si passa ad un periodo punk, fatto di colori che coprono gli edifici, emancipazione femminile. La scoperta della validità della pillola anticoncezionale porta la donna a rivedere la libertà del proprio corpo, che va di pari passo con la capacità di mostrarlo anche fisicamente. La minigonna lancia una vezzosità che finora era stata impensabile, tanto che Michael Cane ricorda quando la madre gli chiese cosa fosse questo tipo di abbigliamento, lui la condusse ai grandi magazzini. Lei vide una ragazza con la minigonna e commentò ironica: “se non ti concedi, è inutile mostrarla”.
L'invasione della pubblicità portò le donne ad usare anche il proprio volto in campagne, come molte che posavano una volta al giorno. A ciò si collega il mondo della musica: esemplare è l'intervista a Paul McCartney dei Beatles, il quale confessa al giornalista di avere usato l’LSD solo quattro volte, e l'interlocutore lo rimprovera perché lui dovrebbe essere un modello per i giovani. Così lui risponde che se deve essere un esempio, il giornalista dovrebbe esimersi dal pubblicare questa risposta dell’intervista, perché è lui ad avere una funzione sociale.
La musica è soprattutto la forma d'arte che maggiormente percepì questo influsso eclettico. Ci sono materiali con interviste ai Who, Twiggy, le modelle Marianne Faithfull - che fu trovata priva di sensi la mattina sul divano di Keith Richards - e Mary Quant. Il fotografo David Bailey, che divenne famoso per le sue inquadrature con smorfie di modelle.
Ne emerge fuori un affresco poliedrico, con sfaccettature che non sono solo quelle dei personaggi famosi che hanno vissuto quel periodo, ma sopratutto della gente comune che percepiva un cambiamento da cui era impossibile sottrarsi.
Ed essere intellettuale era sopratutto un atteggiamento vanitoso, perché ognuno aveva diritto a poter esprimere le proprie idee senza essere giudicato.
Come nella scena in cui un giornalista spocchioso ripreso di spalle chiede ad una modella quale sia il suo filosofo contemporaneo preferito, lei risponde di non averne e impone a lui di dire quale sia il suo. Il giornalista è in difficoltà, si volta verso la telecamera e si scopre che è Woody Allen.
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