Film Put Your Soul on Your Hand and Walk: intervista alla regista Sepideh Farsi
Put Your Soul on Your Hand and Walk è il cortometraggio che racconta Gaza
Il documentario crudo e senza filtri di Sepideh Farsi, Put Your Soul on Your Hand and Walk, ha ottenuto ampi consensi dalla critica e ha fatto parlare di sé in occasione degli Oscar, emergendo come uno dei film più discussi a livello mondiale.
Il documentario si sviluppa attraverso intime videochiamate tra la regista iraniana Sepideh Farsi e la fotoreporter di Gaza Fatma Hassona. Non potendo entrare a Gaza, Farsi si è affidata ai video e alle foto di Hassona per documentare la vita sotto i bombardamenti e il caos.
Il film offre un ritratto suggestivo della resilienza in mezzo al conflitto e mette in risalto il netto contrasto tra i mondi delle due donne. Il film è anche un tributo a Hassona, uccisa insieme alla sua famiglia in un attacco aereo il 16 aprile 2024.
Lodato a livello internazionale per la sua forza emotiva e la sua chiarezza, il film è stato proiettato al Cannes ACID, a Toronto, a New York, al DOC NYC Short List e allo SF Doc Stories, confermando il ruolo di spicco di Farsi nel cinema documentario.
Catturando una tragedia ancora in corso, il film è difficile da guardare, ma impossibile da ignorare, e rappresenta un capolavoro nell'arte del documentario, preservando la vita e l'umanità. Farsi entra nei dettagli del film, condividendo la sua prospettiva e il processo che ha portato alla sua realizzazione. Il film è ora disponibile in streaming su tutte le principali piattaforme.
In che modo l'incontro con Fatem Hassona ha cambiato la tua prospettiva su Gaza?
Farsi: questo film è nato dal mio bisogno di comprendere Gaza al di là dei numeri, delle immagini di distruzione e delle narrazioni dominanti nei media. Avevo bisogno di una voce specifica, di uno sguardo radicato nella vita quotidiana. Ho conosciuto Fatem (online) grazie a un rifugiato palestinese che avevo incontrato al Cairo. Tra noi è scattata immediatamente una connessione. Lei è diventata i miei occhi a Gaza. Attraverso le sue foto, i suoi video e i suoi messaggi, mi ha trasmesso la realtà della guerra vissuta dall'interno. Il suo modo di testimoniare, sempre con dignità e mai come vittima, ha contribuito a cambiare la mia percezione. Gaza non era più un'astrazione o un campo di rovine: era lei. Viva, forte, divertente, ma anche fragile.
Schede
Il film mostra Gaza attraverso i suoi occhi. Avevi un intento politico fin dall'inizio?
Farsi: Non credo sia possibile filmare Gaza senza che sia in qualche modo politico. In realtà, credo che il cinema sia sempre politico, in un modo o nell'altro, ma la mia intenzione iniziale non era quella di realizzare un manifesto. Quello che volevo era dare voce a una realtà troppo spesso assente dal panorama mediatico, in particolare nella copertura della guerra a Gaza dopo il 7 ottobre. Fatem ha raccontato la sua storia, la sua città, la sua famiglia e la sua vita quotidiana con chiarezza e grazia, in modo molto più potente di qualsiasi discorso.
Ci mostra che la vita continua e scherza sui droni e sul suo affetto per la sua terra distrutta. Seguendo la sua prospettiva, ho voluto creare uno spazio di condivisione. Il film invita le persone ad ascoltare, sentire e vedere ciò che spesso viene trascurato: la nostra umanità. La morte di Fatem, avvenuta subito dopo l'annuncio della selezione del film al Festival di Cannes, conferisce al progetto una tragica risonanza.
Come hai vissuto questo evento?
Farsi: abbiamo parlato il giorno prima. Aveva appena saputo della selezione e ne era entusiasta. Parlavamo del suo viaggio a Cannes. Mi ha detto che sarebbe venuta, ma solo a condizione di poter tornare a Gaza dopo. Non voleva andarsene per sempre. Gaza, nonostante tutte le difficoltà, era la sua casa. Il giorno dopo se n'era andata. Lo shock è stato immenso. Eppure, non volevo che il film fosse triste. Quello che abbiamo realizzato insieme è una testimonianza vivente: un film che porta con sé la sua luce, non la sua assenza.
Cosa vorresti che il pubblico traesse dal film?
Farsi: Spero che ricordino una voce. Uno sguardo. Un sorriso. Un'anima bella. Che, al di là delle immagini della guerra, cerchino gli esseri umani. Non sto cercando di trasmettere un messaggio. Il film non spiega, ma mostra e offre una visione diversa, aprendo una finestra su una terra che raramente abbiamo visto nella sua semplicità e resilienza. Su una relazione, una realtà condivisa. Se le persone escono dalla proiezione con un'emozione sincera, con domande e il desiderio di capire e cambiare la propria prospettiva, allora la voce di Fatem sarà stata ascoltata. Questo, credo, è il risultato più significativo che un film possa ottenere.
Foto per gentile concessione di Kino Lorber PR.
© Riproduzione riservata
Potrebbe Interessarti
Zootropolis 2, intervista al cast: Jason Bateman e Ginnifer Goodwin
Le dichiarazioni del cast
Intervista a Shakira, premiere Zootopia 2
Le dichiarazioni di Shakira
Rental Family, intervista con la regista Hikari e l’attrice Mari Yamamoto
Le dichiarazioni della regista e dell'attrice protagonista Mari Yamamoto
Intervista a Mark Wahlberg, The Family Plan 2
Le dichiarazioni di Mark Wahlberg
Intervista a Michelle Monaghan, The Family Plan 2
Le dichiarazioni di Michelle Monaghan
Intervista con Woody Harrelson e Rosamund Pike, nel cast di Now You See Me: Now You Don’t
Serie tv Stumble, intervista a Kristin Chenoweth
Intervista con Bridget Regan, nel cast del film Sarah's Oil
